Storia

La Storia

Capitolo I

Le Origini

I Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme cosiddetto “Ordine Ospitaliero di San Giovanni” è certamente il più antico tra gli ordini equestri nati nel medioevo. La sua nascita risale intorno all’anno 1050.

In genere le origini degli Ordini Equestri risalgono ai tempi della liberazione di Gerusalemme da parte di Goffredo di Buglione, capo delle milizie della crociata, che nell’ambito dell’ordinamento dato alle Istituzioni religiose, militari e civili del territorio appena liberato dalla dominazione musulmana, costituì il primo Ordine dei canonici del Santo Sepolcro. Goffredo fu il primo dei crociati ad arrivare ed entrò in conflitto quasi subito con l’Imperatore bizantino Alessio I che pretendeva da Goffredo un giuramento di fedeltà all’Impero bizantino. Goffredo alla fine giurò nel gennaio 1097, imitato da molti altri baroni, garantendo la restituzione all’Impero dei territori strappati dalle proprie truppe ai turchi. Quest’azione assicurò ai crociati l’attraversamento in sicurezza degli stretti passaggi situati dopo Costantinopoli. Goffredo rifiutò però di essere incoronato “re” nella città in cui il Cristo era morto. Assunse invece il titolo di Advocatus Sancti Sepulchri, “difensore della Chiesa del Santo Sepolcro”. Nel corso del suo breve regno di appena un anno, Goffredo dovette difendere il nuovo Regno di Gerusalemme dai Fatimidi d’Egitto, che in agosto furono sconfitti nella Battaglia di Ascalona Secondo quanto riportato dai cronisti delle Crociate, nel 1103, fu Balduino I, primo Re di Gerusalemme che si pose a capo dell’Ordine dei Canonici del Santo Sepolcro con la prerogativa, per se e per i suoi successori, di creare Cavalieri. Questa facoltà era concessa in subordine al Patriarca di Gerusalemme, in caso di assenza o impedimento del Sovrano.

Gli ordini equestri accoglievano tra i propri membri non solo i Canonici Regolari (Fratres), ma anche quelli che erano chiamati Canonici Secolari (Confratres) e Sergentes. Questi ultimi erano quei Cavalieri armati scelti tra le Milizie Crociate per il loro valore e il loro impegno e che, abbracciata la regola di Sant’Agostino della povertà e dell’ obbedienza, si erano impegnati specificamente alla difesa del Santo Sepolcro e dei luoghi Santi sotto il comando del re di Gerusalemme e ne costituivano la milizia scelta.

Quella dei Cavalieri Ospitalieri o Ospedalieri, nati come Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, conosciuti anche come Cavalieri di Rodi e in seguito come Cavalieri di Malta, è una tradizione che inizia come ordine ospedaliero benedettino intorno alla prima metà dell’XI secolo a Gerusalemme, e divenuto, in seguito alla prima crociata, un ordine religioso cavalleresco cristiano dotato di un proprio statuto a cui fu affidata la cura e la difesa dei pellegrini diretti in Terrasanta.

Nel 600 all’abate Probus fu commissionata da Papa Gregorio Magno la costruzione di un ospedale a Gerusalemme per avere cura dei pellegrini cristiani in Terrasanta. Nel IX secolo Carlo Magno, imperatore del Sacro Romano Impero, ingrandì l’ostello di Probus e vi aggiunse una biblioteca. Circa due secoli dopo, nel 1005, l’Imām fatimide al-Hākim distrusse l’ostello assieme con altri tremila edifici. Fece portare ai cristiani, appese al collo, delle croci di legno, lunghe circa un metro e larghe mezzo. Malgrado ai cristiani non fosse permesso di acquistare schiavi, maschi o femmine, e godessero di pochi privilegi, ad essi era concesso di usare i cavalli a condizione che essi cavalcassero con la sella di legno e finimenti disadorni.

Nel 1023 alcuni mercanti da Amalfi e Salerno ebbero il permesso dall’Imfatimide d’Egitto al-Zāhir (reg. 1021-1036), pagando un tributo annuo, di costruire in Gerusalemme una chiesa, un convento ed un ospedale. L’Ospedale, che fu edificato sul luogo del monastero di San Giovanni Battista, serviva i pellegrini cristiani che viaggiavano per visitare i paesi e i luoghi dove Gesù era nato, vissuto, morto, risorto e asceso al cielo. Questa struttura era retta da monaci benedettini. La chiesa fu perciò dedicata a San Giovanni Battista e lì nacque una comunità monastica denominata “l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme” – che ebbe a dedicarsi principalmente alla gestione dell’ospedale con il preciso scopo di dare assistenza ai pellegrini in Terra Santa. Nell’anno 1048 fu termitata la ricostruzione del Santo Sepolcro ed alcuni Amalfitani edificarono alcuni edifici in quel quartiere, di fronte alla porta della chiesa della Resurrezione, nei pressi di una chiesa e di un monastero dedicati alla Vergine Maria, denominati rispettivamente “la chiesa di Santa Maria Latina” e “il monastero dei Latini”.

Nel 1023 alcuni mercanti da Amalfi e Salerno ebbero il permesso dall’Imfatimide d’Egitto al-Zāhir (reg. 1021-1036), pagando un tributo annuo, di costruire in Gerusalemme una chiesa, un convento ed un ospedale. L’Ospedale, che fu edificato sul luogo del monastero di San Giovanni Battista, serviva i pellegrini cristiani che viaggiavano per visitare i paesi e i luoghi dove Gesù era nato, vissuto, morto, risorto e asceso al cielo. Questa struttura era retta da monaci benedettini. La chiesa fu perciò dedicata a San Giovanni Battista e lì nacque una comunità monastica denominata “l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme” – che ebbe a dedicarsi principalmente alla gestione dell’ospedale con il preciso scopo di dare assistenza ai pellegrini in Terra Santa. Nell’anno 1048 fu termitata la ricostruzione del Santo Sepolcro ed alcuni Amalfitani edificarono alcuni edifici in quel quartiere, di fronte alla porta della chiesa della Resurrezione, nei pressi di una chiesa e di un monastero dedicati alla Vergine Maria, denominati rispettivamente “la chiesa di Santa Maria Latina” e “il monastero dei Latini”.
In sostanza, l’Ordine Ospitaliero fu fondato in seguito alla prima crociata dal Beato Gerardo, ritenuto da alcuni amalfitano e da altri francese, il cui ruolo di fondatore fu confermato da una bolla papale di papa Pasquale II nel 1113. Gerardo acquisì terre e rendite per il suo Ordine per tutto il Regno di Gerusalemme e dintorni. Il suo successore Raymond du Puy de Provence istituì il primo ospizio degli Ospitalieri nei pressi della Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Il gruppo inizialmente si prendeva cura solo dei pellegrini giunti a Gerusalemme, ma presto l’ordine estese i suoi servizi alla scorta armata ai pellegrini.

Capitolo I

Le Origini

La scorta in breve crebbe fino a diventare una sostanziosa forza armata. Assieme con i Cavalieri Templari, formatisi poco dopo nel 1119, gli Ospitalieri divennero uno dei più potenti gruppi cristiani nell’area. L’Ordine cominciò a distinguersi in battaglia contro i musulmani e i suoi soldati indossavano una sopravveste nera con una croce bianca. Dalla metà del XII secolo l’ordine era nettamente diviso tra membri militari e coloro che prestavano assistenza ai malati. Era ancora un ordine religioso e godeva di privilegi funzionali concessi dal papato, tra i quali l’indipendenza da ogni autorità che non fosse quella del papa stesso, l’esenzione dai tributi e la concessione di edifici religiosi.

Molte delle fortificazioni più importanti in Terrasanta erano opera dei Templari o degli Ospitalieri: nel Regno di Gerusalemme gli Ospitalieri tenevano sette grandi forti e altri 140 possedimenti nell’area. I due maggiori, le loro basi nel Regno e nel Principato di Antiochia, erano il Krak dei Cavalieri e Margat, situati il primo in Siria e il secondo nei pressi di Tripoli (oggi in Libano). Le proprietà dell’ordine erano divise in priorati, organizzati in baliati che, a loro volta erano suddivisi in capitanerie. Le vesti originarie dell’Ordine erano quelle benedettine (tunica nera). Ottenuto il riconoscimento ufficiale, gli Ospitalieri aggiunsero il mantello, ancora nero, e la croce bianca, ad otto punte (amalfitana), apposta nel petto, dalla parte del cuore.
Lo stendardo, invece, era rosso, con una croce bianca lineare. Successivamente, anche le vesti divennero rosse (periodo in cui l’Ordine era noto come Ordine di San Giovanni).

Lo stesso Goffredo di Buglione, appena entrato in Gerusalemme, volle visitare l’ospedale e ne restò tanto edificato che fece ad essi donazione di alcuni suoi beni patrimoniali in Francia. Dunque, durante la prima crociata, l’Ospedale, pienamente funzionante, diretto dal predetto Frà Gerardo Sasso, nel 1099 costituì una grande confraternita religiosa, appunto l’ “Ordine Ospitaliero di San Giovanni in Gerusalemme”. Tale Ordine divenne indipendente proprio sotto la guida del suddetto monaco, primo Gran Maestro (successivamente proclamato Beato). Dunque, durante la prima crociata, l’Ospedale, pienamente funzionante, diretto dal predetto Frà Gerardo Sasso, nel 1099 costituì una grande confraternita religiosa, appunto l’ “Ordine Ospitaliero di San Giovanni in Gerusalemme”. Tale Ordine divenne indipendente proprio sotto la guida del suddetto monaco, primo Gran Maestro (successivamente proclamato Beato).Ora, riprendendo il discorso intorno ai Cavalieri Ospitalieri, occorre precisare che l’Ordine ospitaliero di San Giovanni in Gerusalemme, da cui nacque l’Ordine dei Giovanniti o Gerosolimitani (da Gerusalemme), fu riconosciuto come autonomo e internazionale con la citata bolla papale di Papa Pasquale II del 1113, dove furono riconosciuti i primi insediamenti giovanniti in Italia: Messina, Taranto, Otranto, Bari, Pisa e Asti; sulla tunica dei monaci comparve la croce bianca come quella della Repubblica di Amalfi.In tal modo si ritiene che lo stesso Ospedale divenne oggetto della bolla “Pie postulato voluntaris” (Lettera patente, donata a Benevento in data 15 febbraio 1113, il quattordicesimo anno di pontificato di Papa Pascal II). Questa bolla fu di un’importanza fondamentale per l’Ospedale di Gerusalemme, poiché lo trasformò in un ordine religioso, mettendolo sullo stesso piano del prestigioso ordine di Cluny. Così l’opera di Frà Gerardo si trasformò in un’organizzazione internazionale di beneficenza, riconosciuta dalle più alte autorità civili e religiose dell’epoca che portò, allorché il bisogno si fece sentire, a parlare con voce alta e chiara in nome dei più deboli. Il Beato Gerardo si separò dai monaci di Santa Maria Latina, trasformando radicalmente il piccolo Ospedale ed adattandolo alla nuova situazione creatasi in seguito della conquista dei Luoghi Santi da parte dei cavalieri crociati.
I frati di San Giovanni dopo aver lasciato la loro carica di oblati o di conversi di Santa Maria Latina, vestirono il loro nuovo abito e fecero solennemente il giuramento e si impegnarono a “vivere secondo regola e secondo delle istituzioni onorevoli”. Sotto la spinta dei monaci infermieri, tutti gli ordini cominciarono a donare asilo politico ed ospitalità, non solamente in Oriente, ma anche in Occidente.

Capitolo II

Trasformazione dell’Ordine Monastico in Ordine Militare Monastico

Lo scopo della confraternita non fu solo quello di curare i pellegrini, ma anche di proteggerli dalle incursioni furibonde dei saraceni, così nel giro di pochi anni gli Ospitalieri diventarono anche uomini aditi alle armi. Cominciò a delinearsi, fino a diventare realtà, l’Ordine Militare-Monastico, che, va detto, subì gravi atti di soprusi e di violenze da parte di molti degli stessi cavalieri crociati, che avevavo perso di vista gli ideali della cavalleria (come oggi viene concepita) e che, soprattutto, avevano abbandonato i valori cristiani.
Papa Urbano II il 27 novembre del 1095 tenne un discorso al concilio di Clermont – Ferrand, in cui riprendendo i progetti di Gregorio VII, incitò il popolo francese alla crociata per strappare la Terra Santa dalle mani degli Arabi. La Francia, disse, “è già sovraffollata e le terre sante di Canaan sono stracolme di latte e miele”. Urbano chiese ai francesi di volgere le loro spade a favore del servizio di Dio, e l’assemblea replicò Dieu le veult! (“Dio lo vuole!”). Le parole di papa Urbano II furono ascoltate alla lettera da molti masnadieri d’occidente, in parte mossi da una voglia di riscatto terreno e spirituale, ma per lo più da un desiderio di conquista e di saccheggio. Con tale pretesto molti furono i briganti che partirono per la Terra Santa spinti anche dalla voglia di procurarsi ingenti bottini.
Durante la prima crociata la ferocia dei cristiani fu inaudita, tanto che nella conquista di Gerusalemme venne massacrata l’intera popolazione (composta da 40.000 a 70.000 persone). Un cronista cristiano dell’epoca descrive con queste parole gli accadimenti del luglio 1099:
“I nostri li inseguivano dappresso, uccidendoli a forza di fendenti, sino al tempio di Salomone, dove fecero un tal massacro da sguazzare nel sangue sino alle caviglie…Le strade erano coperte di mucchi di teste, mani e piedi mozzati, e ovunque bisognava aprirsi un varco tra cavalli morti e cadaveri umani.”
Solamente il governatore di Gerusalemme, Iftiqar ad-Daura, venne risparmiato dalle aggressioni dei crociati. Tuttavia, l’organizzazione dell’esercito dei crociati si dimostrò carente sotto l’aspetto di un proficuo schieramento, della condotta e delle strategie, per cui si rese necessario istituire ordini di tipo militare su base monastica (cavalieri cristiani); in pratica si addestrarono come soldati dei veri e propri monaci da condurre in guerra “santa”. I monaci di diversi ordini monastici vennero, perciò, destinati alla difesa dei luoghi santi e delle relative popolazioni ivi insediate. Probabilmente l’idea di fondare una struttura cavalleresca organizzata, di carattere religioso-militare, è da attribuire a San Bernardo da Chiaravalle, il quale tradusse l’idea in azione concreta, essendo un uomo di impeto e di immediata decisione.
Bernardo di Chiaravalle o Bernard de Clairvaux (Fontaine-lès-Dijon, 1090….– Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153) è stato un religioso, abate e teologo francese, fondatore della celebre abbazia di Clairvaux.Viene venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Canonizzato nel 1174 da papa Alessandro III, fu dichiarato Dottore della Chiesa, Doctor Mellifluus, da papa Pio VIII nel 1830. (Quanto più si è buoni, tanto più si è cattivi, se si attribuisce a proprio merito ciò per cui si è buoni » San Bernardo di Chiaravalle, Sermones super Cantica Canticorum, LXXXIV»).In tale conteso storico nacquero allora diversi ordini ed in particolare:
L’ORDINE DEI CAVALIERI OSPITALIERI (poi di San Giovanni in Gerusalemme, di Rodi e di Malta) sostanzialmente, come abbiamo visto, si trattava di monaci (benedettini) divenuti cavalieri cristiani (detti anche cavalieri giovanniti). La loro base ed il pilastro della loro missione consistette principalmente nella gestione del suindicato Ospedale di San Giovanni in Gerusalemme. Fecero parte di quest’Ordine le Donne dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, (Ospitalieri) e i Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (Ospitalieri), il cui simbolo era rappresenato da una croce Amalfitana ad otto punte, bianca su fondo nero, mentre lo stendardo era di colore rosso.
I CAVALIERI CISTERCENSI cristianizzati da San Bernardo di Chiravalle. La loro base si tenne nella moschea di Al-Aqsa presso il Tempio di Salomone in Gerusalemme.
I CAVALIERI TEMPLARI secondo la tradizione, i fondatori furono Hugues de Payns ed altri otto cavalieri (Bysol de Saint Omer, Andrè de Montbard zio di San Bernardo da Chiaravalle, Archambaud de Saint Aignan, Gondemar, Rossal, Jacques de Montignac, Philippe de Bordeaux e Nivar de Montdidier) che partirono dalla Francia per andare in Terra Santa con lo scopo dichiarato di difendere i pellegrini dagli attacchi dei musulmani. Ma questi nove Cavalieri avevano anche un altro scopo, uno “scopo segreto”, trovare antiche reliquie dai poteri immensi (Arca dell’Alleanza, Santo Graal). All’inizio furono chiamati i “Poveri Cavalieri di Cristo” ed erano un Ordine monastico e guerriero. Questo Ordine fu una cosa rivoluzionaria per quel tempo. Infatti i ceti sociali dell’epoca si dividevano tra: Bellatores (coloro che combattevano), Oratores (coloro che pregavano), e Laboratores (coloro che lavoravano). I Cavalieri Templari unirono la benevolenza del monaco alla forza del guerriero. I monaci tradizionali professavano tre voti: obbedienza, povertà e castità. I Cavalieri Templari, oltre a questi tre voti, ne avevano un quarto, cioè lo “stare in armi”, quindi il combattimento armato. Furono dei veri e propri monaci guerrieri. La veste dei templari aveva la caratteristica della Croce Templare rossa su fondo bianco, con le punte allargate e gli estremi piatti o appena incurvati verso l’interno, il mantello bianco (come quello dei Cistercensi) e sulla spalla lo stendardo templare bianco e nero, detto “beaucent”.

  • Trasformazione dell’Ordine Monastico in Ordine Militare Monastico

I CAVALIERI TEUTONICI, invece, fruono rappresentati da Nobili Cavalieri Tedeschi. Detti Cavalieri rappresentano un antico ordine monastico-militare e ospedaliero (cronologicamente il terzo, dopo quelli gerosolimitano e del Tempio) sorto in Terrasanta all’epoca della terza crociata ad opera di alcuni mercanti di Brema e Lubecca per assistere i pellegrini tedeschi. Il Papa Celestino diede loro la regola monastica di Sant’Agostino Maestro. Il simbolo di tali cavalieri fu la cosiddetta “croce teutonica patentata” di colore nero in campo argento, nonché lo stendardo teutonico (antica croce dell’ordine tratta dal “Teatro araldico” – 1841-51).
I CAVALIERI DEL SANTO SEPOLCRO – ossia Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, conosciuto comunemente come Santo Sepolcro – furono organizzati da Goffredo di Buglione e dovettero obbedienza al Patriarca di Gerusalemme, professando anch’essi la regola di Sant’Agostino. La loro sede fu situata presso la Basilica del Santo Sepolcro in Gerusalemme; il loro emblema venne rappresentato da un Cavaliere del Santo Sepolcro con la Croce di Goffredo di Buglione Regno di Gerusalemme.
I succitati Cavalieri vennero chiamati Cavalieri Gerosolimitani (ovvero dal Regno di Gerusalemme). Infatti, il Priorato Gerosolimitano è un antico ordine religioso cavalleresco, nato proprio nel periodo delle crociate lanciate dalla Chiesa cattolica per liberare il Santo Sepolcro dal controllo dell’Islam.
L’ordine cavalleresco dei Gerosolimitani racchiudeva i Cristiani Cavalieri (monaci benedettini che avevano impugnato le armi) e i Cavalieri Cristiani (soldati che diventavano religiosi: Cavalieri Ospitalieri, Templari, Teutonici, Cavalieri del Santo Sepolcro).Orbene, preme precisare che gli Ospitalieri di San Giovanni cominciarono man mano a differenziarsi rispetto agli altri Ordini Religiosi; tali differenze si accentuarono ancor più sotto il magistero di Raymond du Puy (Beato Raymond du Puy de Provence 1083 – 1160), il quale fu un condottiero francese e un Gran Maestro dell’Ordine dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (Cavalieri Ospitalieri) dal 1118 al 1160). Ormai l’uso delle armi non si limitò più alla legittima difesa, come era stato all’epoca del beato Frà Gerardo Sasso, in quanto i monaci infermieri ricorrevano alle armi ogni qual volta che lo stendardo della Santa Croce si spiegava per difendere il Regno di Gerusalemme in nome di Dio.
Nel 1120 Frà Raimondo du Puy, successore del Beato Gerardo, diventò il secondo gran maestro dell’Ordine. Anch’egli, in seguito proclamato Beato, assunse il titolo di “Maestro” al posto di quello di Rettore dell’Ospedale tenuto da Gerardo; dettò la prima Regula, adottò la croce ottagona quale emblema della Religione e rafforzò la funzione militare dell’Ordine, sebbene questo – a differenza di altri Ordini di cavalleria combattenti quali i Templari ed i Teutonici, che resteranno esclusivamente tali – non abbandonerà mai la propria missione assistenziale e caritatevole.REGULA: Nel nome di Dio, io Raimondo, servo dei poveri di Cristo e guardiano dell’Ordine Gerosolimitano, col consiglio del Capitolo, con i chierici ed i fratelli laici, ho stabilito questi tre comandamenti nella Casa dell’Ospedale di Gerusalemme. Comando dunque che tutti i fratelli che vengono a servire ai poveri, mantengano, e, col divino aiuto, osservino tre cose promesse a Dio, che sono Povertà, Castità, Obbedienza, cioè che eseguano appieno tutto ciò che sarà loro comandato dal Maestro e vivano senza proprio. Perchè Dio chiederà loro queste tre cose nel giorno del Giudizio. (…)”. Costituzione dell’Ordine dell’Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme, sotto la guida di Fra’ Raimondo du Puy (1120-1160).La croce ottagona, che rappresenta le otto Beatitudini, è peraltro lo stemma della Repubblica di Amalfi, patria di quei mercanti che nel XI secolo ottennero dai califfi fatimidi il permesso di costruire in Gerusalemme una chiesa ed un ospizio, a pochi passi dal Santo Sepolcro, dove è certo che ebbe sede l’Ospedale giovannita. Tale croce – araldicamente croce scorciata biforcata patente – detta da allora di Malta, resterà per sempre il simbolo identificativo degli Ospedalieri.
Sotto la sua guida gli Ospitalieri si trasformarono in una vera organizzazione militare. Apparve per la prima volta nella storia la figura del frate cavaliere combinata con quella del monaco soldato: anomalia cristiana nata proprio durante le crociate.In tale contesto e sotto la guida del Gran Maestro va ricondotta la seconda crociata. La Seconda crociata (1145-1147), fu causata dalla caduta di Edessa nel 1144.
Il teologo San Bernardo di Chiaravalle teorizzò, in risposta alla difficoltà per un cristiano di conciliare la guerra non difensiva con la parola di Dio, la teoria del malicidio: chi uccide un uomo intrinsecamente cattivo, quale è chi si oppone a Cristo, non uccide in realtà un uomo, ma il male che è in lui; dunque egli non è un omicida bensì un malicida.
Bernardo di Chiravalle predica la II^ Crociata. Questa episodica giustificazione, in risposta a un espresso quesito dei Cavalieri Templari, non assunse tuttavia il carattere di giustificazione generalizzata di quella che fu, in effetti, una campagna per la ripresa di Antiochia.
La seconda crociata venne condotta con un’eccessiva spavalderia dal re di Francia Luigi VII, alleato al solo Corrado III del Sacro Romano Impero, ignorando le possibili alleanze con alcuni potentati musulmani che avrebbero permesso di riprendere la contea di Edessa. Egli, ascoltando le perorazioni di alcuni cattivi consiglieri abbagliati dalle ricchezze di Damasco, cinse di assedio la capitale siriana senza nemmeno cercare l’aiuto del re normanno di Sicilia né del basileus bizantino, riportando una disastrosa sconfitta nel 1148

  • Capitolo III

I Cavalieri Neri – Il Cartolario dell’Ordine degli Ospitalieri

Cavalieri di San Giovanni, dunque, adottarono come insegna la croce amalfitana a otto punte, che simbolizzavano le otto beatitudini della fede. Lo stendardo si mostrò nel colore rosso, la croce bianca ed i mantelli neri. I mussulmani li chiamarono “gli uomini neri” sia per il colore dei mantelli, sia per il grande impeto dimostrato nelle battaglie. La loro fama assunse proporzioni leggendarie al pari di quelle dei templari.CAVALIERE OSPITALIERE “NERO”.
I diversi documenti e le diverse testimonianze ci portano alla conclusione che i primi monaci dell’abbazia di Santa Maria Latina a Gerusalemme erano dei benedettini, volgarmente chiamati “monaci neri”. L’abate e i monaci del monastero di Santa Maria Latina decisero di costruire, accanto alla loro chiesa, un ospedale e una cappella in onore del beato Jean Eleeymon per il beneficio dei pellegrini, sia che essi fossero malati che in buona salute. L’esempio di coraggio dei frati d’armi di San Giovanni – i quali, sin dall’epoca di Frà Gerardo non esitarono a rischiare la loro vita per scortare i pellegrini sulle strade di Gerusalemme – si diffuse come una macchia d’olio e ben presto si videro spuntare qua e là gruppi di religiosi “armati” di ferro e di fede. Questa prodigiosa affermazione dei monaci-soldati, i quali si insediarono sia in molte regioni d’Oriente e d’Occidente sia nei loro territori nazionali, crebbe in poco tempo, imponendo il rispetto di tutti. Anzi tempo, al fine di provvedere ai bisogni delle migliaia di poveri, nonché degli obbedienti dipendenti dell’Ospedale di Gerusalemme, Frà Gerardo aveva provveduto ad inviare taluni questuanti ai quattro angoli del mondo cristiano al fine di ottenere beni per la confraternita ospedaliera, secondo uno scritto che recita: “Tendendo abilmente le sue braccia verso numerosi paesi, raccolse da tutte le parti i fondi destinati a nutrire i suoi”. L’Ordine, che presto acquisterà ampia notorietà in tutta Europa, viene interessato da un’improvvisa affluenza di donazioni – anche da parte di diversi regnanti – compresi alcuni feudi in Occidente ed in Medio Oriente. Tali possedimenti formeranno la base del futuro sistema delle Commende (raggruppate in Baliaggi, a loro volta riuniti in Gran priorati e Priorati e questi ancora costituenti le Lingue), proprietà terriere affidate ad un membro o ad un fiduciario con finalità essenzialmente economiche volte al finanziamento delle attività istituzionali della Milizia. Nel contempo si vanno moltiplicando anche le richieste di adesione che veinivano accolte, in quanto ordine di cavalleria, esclusivamente quelle provenienti da appartenenti a famiglie di provata nobiltà. Nei due secoli di presenza in Terrasanta che seguiranno, l’Ordine si distinguerà in modo netto tra tutte le cavallerie combattenti, suscitando a causa del suo valore un acceso odio da parte dei musulmani (tra gli Ospitalieri, il pur generoso Saladino non faceva prigionieri). Di conseguenza gli Ospitalieri ricevettero diverse donazioni di beni, tanto che fu istituito un “Cartolario generale dell’Ordine dei frati-infermieri di San Giovanni di Gerusalemme” in cui venivano conservati tutti gli atti relativi alle donazioni ricevute. Traendo spunto dal detto latino “Verba volant, scripta manent”, gli Ospitalieri esigerono in forma scritta le donazioni a loro favore.

Capitolo IV

Rapporti tra i Cavalieri e Federico II

Gli Ospitalieri-Cavalieri furono sempre a fianco dei vari sovrani che si succedettero nelle varie Crociate. Difatti, tra i Cavalieri ed i Sovrani Europei si stabilì un continuo e proficuo rapporto, volto ad un fine comune: la cristianità su tutti i territori. Purtroppo, i rapporti tra l’Ordine di San Giovanni e Federico II furono condizionati dai rapporti tra il Papato e l’Impero, di conseguenza le loro relazioni non furono del tutto regolari (spesso si registrarono attriti tra l’imperatore federico ii ed il pontefice romano).
Federico II Hohenstaufen, o Federico I di Sicilia o di Svevia (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250), fu re di Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d’Italia e re di Germania. Popolarmente conosciuto con gli appellativi stupor mundi (“meraviglia del mondo”) o puer Apuliae (“fanciullo di Puglia”), fu Sacro Romano Imperatore dal 1220 al 1250. Appartenente alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen, fu inoltre re di Germania, re d’Italia, re di Borgogna, re di Gerusalemme e, col nome di Federico I, Re di Sicilia dal 1198 al 1250. Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l’attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. L’Imperatore Federico II, favorì i rapporti con l’Ordine di Santa Maria dei Teutoni eed essendo prevenuto nei confronti degli Ospitalieri e dei Templari, nel 1226, confiscò i beni dei Templari e degli Ospitalieri, per cui nel corso della “crociata degli scomunicati” (tra il 1227 ed il 1228), sia i Templari che gli Ospitalieri, obbedendo alla volontà del Papa, mantennero le distanze dall’Imperatore.Tra il 1228 ed il 1229 (quando era Gran Maestro dei Giovanniti fra’ BERTRAND DE THESSY -1228/1231) i castelli del regno di Sicilia restarono sotto il controllo di due maestri, ossia un Ospitaliero e un Templare. Nel tempo, tuttavia, migliorarono i rapporti tra gli Ospitalieri e Federico II, mentre rimasero tesi i rapporti tra quest’ultimo ed i Templari. Nel complesso, le strutture fortificate ( castelli) furono di due specie, distinte sia per tipologia, sia per funzione. I castra furono le classiche fortezze militari; le domus, dalla fisionomia architettonica più complessa, cosituirono residenze fortificate destinate spesso agli svaghi della caccia e collocate nelle dirette vicinanze di strutture produttive del demanio, come masserie, foreste, casali, scuderie, a scopo di coordinamento e di protezione.

  • Capitolo IV

Rapporti tra i Cavalieri e Federico II

Il provisor castrorum (provveditore) – funzione assegnata all’Ospitaliere e al Templare – rappresentò la figura imminente nell’amministrazione, tenuto ad informare costantemente la corte delle spese, era responsabile della retribuzione delle guarnigioni, della manutenzione e dell’approvvigionamento per i castelli di una o più circoscrizioni. Fuori dalle sue competenze rimasero invece le nomine dei castellani e del personale minore, prerogativa dell’amministrazione centrale. Tutta l’organizzazione si incentrò su due criteri: da un lato, ottenere il maggior grado di accentramento possibile, soprattutto riguardo alla gestione militare; dall’altro, separare nettamente il castello dalla città, in modo da impedire pericolose commistioni di interessi. L’apparato burocratico formò dunque la cerniera fra la corte e le periferie, dando unità a un complesso sistema polifunzionale e, nel contempo, garantendo l’integrità del demanio da possibili colpi di mano di forze centrifughe.
Tuttavia, dopo le “Costituzioni di Melfi” (1231) nota anche con il nome di Constitutionum Regni Siciliarum – i provveditori del sistema castellare del regno di Sicilia non furono più reclutati tra i membri dell’Ordine Ospitaliero, così fu anche per i Templari. Le Costituzioni di Melfi – dette pure Liber Augustalis – costituiscono una, ma anche la più proficua, delle manifestazioni della cultura di Federico II di Svevia. Vennero promulgate nel 1231 dall’imperatore svevo nella città di Melfi, raccolte nel Liber Augustalis. Queste rappresentano un corpo di leggi che partendo dal Corpus Iuris Civilis di Giustiniano sono state adattate al nuovo sistema imperiale e tali da dare allo Stato un’impronta unitaria i cui poteri saranno da quel momento accentrati in una sola persona: l’imperatore. La volontà principale di Federico II era di ristabilire l’autorità imperiale, improntandola alall’assolutismo-romano, limitando i poteri e i privilegi acquisiti nel tempo tempo dalle locali famiglie nobiliari e dai prelati.
Il Liber Augustalis , dunque, si fonda sul diritto romano, ma vi trova spazio anche la tradizione normanna dal momento che vi sono inserite ben 65 leggi che si rifanno a quella cultura ed a quelle consuetudini. Il codice ebbe grande risonanza e diffusione nel regno, visto che fu tradotto in greco per essere meglio compreso ed applicato da buona parte della popolazione che parlava questa lingua. (Secondo Besta, il Liber Augustalis rappresenta il più grande monumento legislativo laico del Medio Evo, mentre per Kantorowicz “è l’atto di nascita dello stato amministrativo moderno”. Con queste leggi, che riaffermano l’universalità del diritto romano, Federico, che si ispira a Cesare, a Teodosio ed a Giustiniano, vuole combattere la frammentazione dello stato feudale eliminando i poteri intermedi ed avocando a sé ogni prerogativa di potere, unico ed indivisibile).
Pertanto, nel periodo federiciano il controllo del sovrano sulle fortezze demaniali fu assoluto (in seguito, già nel primo periodo angioino, il sistema castellare pubblico fu intaccato da concessioni feudali ai baroni). Per i Cavalieri Ospitaleri non vi fu spazio, in quanto in qualità di provveditori avrebbero esercitato le proprie funzioni su un numero variabile di castelli, a causa sia degli infeudamenti, sia delle strutture riconquistate agli avversari.Parallelamente però, proprio per contrastare le forze locali in ascesa, si vennero ulteriormente articolando i meccanismi volti ad impedire la formazione di potentati territoriali. Nel 1277, nell’ambito di una riforma generale dell’amministrazione, venne accentrato il sistema di retribuzione, con un provvedimento che toglieva potere ai funzionari periferici. La rotazione costante degli incarichi divenne prassi comune, che consentiva al potere centrale di evitare il il radicamento dei poteri e nel contempo di soddisfare le richieste di onori feudali.

  • Capitolo V

Le gesta dei Cavalieri Ospitalieri

Gli Ospitalieri-Cavalieri (detti “uomini neri”) – assunsero proporzioni leggendarie anche nelle battaglie , al pari di quelle dei Templari. Un accadimento storico di grande rilievo risale all’anno 1187, quando, durante la caduta di Gerusalemme, gli ospitalieri si sacrificarono in massa per difenderne le mura, anche frà Ruggero des Moulins (di origine francese, ottavo gran Maestro degli Ospitalieri – 1177-1187) cadde nei combattimenti contro le orde di Saladino (ovvero Salah al-Din arabo: Ṣalāḥ al-Dīn al-Ayyūbi o, più correttamente da un punto di vista onomastico, Ṣalāḥ al-Dīn ibn Ayyūb, Sultano col laqab di al-Malik al-Nāṣir “Il Sovrano Vittorioso” – (1137/1138 – 4 marzo 1193) – è stato un condottiero curdo, tra i più grandi strateghi di tutti i tempi e fondatore della dinastia ayyubide in Egitto, Siria e Hijaz).
La storia di quella che è ricordata come Terza Crociata, così come la storia delle gesta del Saladino, sono ricche d’episodi dai quali emerge la figura di un condottiero leale, tollerante e benevolo anche nei confronti dei suoi avversari. Di certo com’è destino per tutti i “grandi”, anche la sua immagine fu certamente romanzata dai cronisti, sia arabi sia occidentali, esaltando alcuni aspetti del carattere e gli avvenimenti che davano maggior risalto al suo agire, accantonando i meno nobili. Già nel secolo successivo alla Crociata, circolava in Europa la leggenda di un Saladino eroe “giusto”, vicino alla conversione al Cristianesimo e investito cavaliere (o desideroso di divenirlo).
Al termine della battaglia nei pressi del lago di Tiberiade, con la quale era riuscito a piegare l’esercito cristiano (Hattin, 3-4 luglio 1187), Saladino fece portare nella sua tenda alcuni dei prigionieri più “illustri”; al povero Re Guido di Lusignano, stravolto dalla paura e dalla sete, il Sultano offrì una coppa d’acqua in segno d’ospitalità, il che nelle consuetudini musulmane significava essere considerati ospiti e come tali rispettati. In altre parole, anche se prigioniero il re aveva salva la vita. Ma quando questi passò la coppa al suo vicino Renaud de Chatillon, per il quale Saladino provava un astio feroce (e si poteva giustificarlo per l’arroganza e la spavalderia di questo nobile che non aveva rispetto per nessuno), e al quale non voleva riconoscere la stessa protezione offerta al Re, dopo aver apostrofato il cavaliere rimproverandogli i suoi misfatti, Saladino lo colpì con la spada tra il collo e la spalla e lo fece finire dalle sue guardie che lo decapitarono. Questo potrebbe sembrare un gesto di ferocia estrema, ma va riconosciuto che la condotta del principe Renaud era stata sempre ispirata dall’arroganza e dall’indole predatoria; l’atteggiamento di sfida perpetua nei confronti dell’Islam (ma in fondo di chiunque tentasse di porre limiti al suo agire), come l’assoluta mancanza di rispetto delle popolazioni locali e della loro fede, rappresentavano un’offesa che avrebbe esasperato la pazienza di qualsiasi avversario. Al Saladino che gli contestava le sue colpe chiedendone giustificazioni, il cavaliere rispondeva con la solita spavalderia, quasi non fosse intimorito di trovarsi prigioniero di colui che lo considerava un nemico della fede e, come tale, da eliminare. Stessa sorte toccò ai Templari e agli Ospedalieri che furono trucidati all’indomani della battaglia: i soli prigionieri verso i quali il Sultano non mostrò la consueta clemenza. Anche in questo caso tuttavia, Saladino aveva le sue giustificazioni; sapeva bene, infatti, che questi strani monaci soldati, erano i veri Crociati perpetui, i soli non disposti a scendere a compromessi o a tradire il loro voto di combattere per la fede Cristiana. La loro era una Crociata permanente, combattuta fino al martirio, e se fatti prigionieri, non era neppure possibile richiedere un riscatto perché nessuno lo avrebbe pagato: tanto valeva eliminarli! Una volta perduta Gerusalemme i crociati si ritirarono nelle altre città del regno latino di Gerusalemme rimaste in loro mano: Antiochia, Tiro, Edessa, Giaffa, San Giovanni d’Acri. Ospitalieri, Teutonici e Templari presidiarono la smisurata frontiera con inaccessibili castelli, i quali dominavano i principali punti del territorio.
Presso il Regno di Gerusalemme gli Ospitalieri tenevano sette grandi forti e altri 140 possedimenti nell’area. I due maggiori, le loro basi nel Regno e nel Principato di Antiochia, erano il Krak dei Cavalieri e il Margat, entrambi situati nei pressi di Tripoli (oggi in Libano). Nel 1271, la più leggendaria e possente di queste fortezze, il Krak dei cavalieri, tenuta dagli Ospitalieri cadde in mano dei musulmani (la fortezza del Krak fu la più importante e più nota costruzione militare fortificata dell’ Ordine militare dei Cavalieri dell’Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme, più noto come Ordine Ospedaliero prima di diventare Ordine dei Cavalieri di Rodi e infine Ordine dei Cavalieri di Malta. Il Krak rappresenta forse una delle testimonianze del passato medievale più affascinanti che la cultura cristiana occidentale abbia potuto lasciare in tutto il Vicino Oriente islamico.Il Krak (che deriva dalla parola aramaica karkha, che significa città, conservatasi nel centro urbano transgiordanico di al-Karak, la biblica Moab) si trova a metà strada circa tra Aleppo e Damasco, a 60 Km quasi a sud di Hama. La sua posizione era al tempo stesso strategica poiché riusciva a controllare il Passo di Homs: lo sbocco settentrionale, cioè, dell’ampia e fertile pianura della Buqay’a -oggi Beqā- , fra il Monte Libano e l’Antilibano, che si esauriva proprio di fronte all’unico varco possibile. Tale passo di Homs conduceva verso la costa mediterranea e permetteva di raggiungere la città di Tortosa – oggi Tartus – costituendo in tal modo la difesa più avanzata della Contea di Tripoli).
Il Krak dei Cavalieri (cd. Krak des Chevaliers) , insieme ad altri castelli, fu donato agli Ospedalieri da Raimondo II di Tripoli nel 1144, che da allora continuarono a presidiarlo per difendersi dalle incursioni musulmane. Era quasi impossibile sferrare un attacco al Krak dei Cavalieri – collocata su una collina a 650 metri sul livello del mare – con le sue doppie mura perimetrali e le sue 13 torri. Le mura interne erano più alte di quelle esterne, dalle quali erano separate per mezzo di un fossato dalle pareti scoscese. La fortezza occupava una superficie di 3000 metri quadrati: essa poteva ospitare una guarnigione di 2000 soldati con relativi cavalli, equipaggiamento militare e scorte di viveri sufficienti per cinque anni, c’è chi sostiene ospitasse anche sino a 4000 cavalieri. Difficile pensare che il Krak abbia mai ospitato così tanti cavalieri in quanto gli storici sono abbastanza prudenti sulla numerosità dei cavalieri crociati presenti in questo periodo in oriente che si ritiene potessero essere in tutto un migliaio scarso.
Il Krak, rispetto ad altre fortificazioni, era in una posizione geografica favorevole in quanto in quel periodo le principali zone su cui concentravano i maggiori sforzi di difesa o attacco erano Gerusalemme (Israele), Damietta (Egitto), Edessa (Armenia), Costantinopoli (Turchia), Aleppo e Damasco (Siria) tutte abbastanza lontane dal Krak. Forse è questa la ragione per cui il Krak non ha subito nel corso del tempo pesanti distruzioni e si è mantenuto in questo stato fino ad oggi. Infatti, il Krak era stato già attaccato nel 1163 da Nūr al-Dīn (Norandino), Sultano di Damasco, le cui truppe si scontrarono con quelle dei crociati nella valle di Buqay’a nelle vicinanze del castello. Gli Ospitalieri-Crociati in quella occasione ebbero la meglio e mantennero il presidio della zona e del castello.

  • Capitolo V

Le gesta dei Cavalieri Ospitalieri

Il Krak dei Cavalieri seguì quindi questi eventi che lo videro testimone quasi per intero della presenza dei crociati cristiani nel Vicino Oriente per quasi 200 anni. Dunque, fu durante l’inverno del 1271 che al-Malik al-Zāhir Baybars, sultano mamelucco d’Egitto, nella sua progressiva riconquista di quelli che erano stati gli insediamenti latini, che «assediò il castello per vari giorni (3 marzo – 8 aprile), colpendolo con i proiettili delle sue catapulte prima che le sue truppe cominciassero l’attacco finale per occupare il castello, porta a porta, torre a torre». La conquista finale del castello da parte di Baybars, detto la pantera, ha un finale non chiaro su quale sia stata la sorte dei cavalieri crociati che al momento dell’assalto non erano più di 200. Alcuni sostengono che i soldati sconfitti furono lasciati liberi di raggiungere la costa e di lì proseguire per i loro destini, altri invece che furono uccisi subito dopo la battaglia.
Un’altra storia racconta che gli Arabi, evitando l’attacco alla porta principale del Krak dei Cavalieri che avrebbe condotto a una serie di passaggi più stretti, attaccarono il muro meridionale scavando gallerie sotto la grande torre dell’angolo di sud-ovest e in questo modo superarono le mura esterne. Prima di sferrare l’attacco al posto di guardia centrale, ancora più difeso, tentarono uno stratagemma: un piccione viaggiatore fu inviato al castello con un messaggio del Gran Maestro degli Ospedalieri, in cui veniva ordinato alla guarnigione di arrendersi. In numero inferiore e senza speranza di salvezza, i difensori fecero quanto loro ordinato e, pur comprendendo che si trattava di un messaggio di un impostore, cedettero il grande castello con onore.
Baybars ad ogni modo, in seguito alla conquista, restaurò le parti danneggiate e costruì nuove torri e la fortezza mantenne intatta la sua importanza sotto il dominio degli arabi (Baybars al-Bunduqdārī – 1223-1277 – fu il quarto Sultano mamelucco che governò l’Egitto e la Siria fra il 1260 e il 1277. Schiavo turco – d’origine qipčaq del sultano ayyubide al-Malik al-Sālih e, prima di lui, di Aydakin Bunduqdār – da cui prese la nisba – Baybars ebbe pelle scura, occhi azzurri e grande forza fisica, oltre a doti di intelligenza non comune e di rara rapidità di giudizio).
Pertanto, la perdita della fortezza Krak e l’intero sterminio della guarnigione Ospitaliera suscitarono panico e sgomento nella comunità cristiana: sia perchè dall’Europa non giunsero soccorsi, sia per il fatto che i Cavalieri cristiani furono lasciati da soli contro la morsa musulmana che andava stringendosi sempre di più. In poco tempo caddero, Giaffa, Tripoli e la roccaforte di Margat. Poche centinaia di Cavalieri Ospitalieri, templari, teutonici si ritirano ad Acri per permettere alla popolazione superstite di imbarcarsi per l’Europa. Resistettero per oltre un mese contro centosessantamila saraceni, fino a che non furono messi in salvo gli ultimi cristiani che popolavano Acri. Ormai ridotti a poche decine, i cavalieri cristiani, a causa dell’estrema resistenza, si raggrupparono su una torre, ma questa crollò a seguito di un violento attacco da parte dei musulmani.
Il Gran Maestro degli Ospitalieri frà Giovanni de Villiers (di origine francese, fu il ventiduesimo Gran Maestro tra il 1284/5-1293/4) fu ferito in battaglia, quindi si imbarcò insieme ai superstiti sulle navi dirette in Europa.

  • Capitolo VI

Cavalieri di Rodi

Nel 1291 De Villiers con le proprie insegne si recò a Cipro e vi insediò provvisoriamente l’Ordine di San Giovanni. In pochi anni l’Ordine Ospitaliero si riorganizzò per riprendere nuovamente la guerra contro l’Islam, questa volta l’attacco fu progettato per via mare. Nel 1310, sotto il comando del Gran Maestro frà Foulques de Villaret l’Ordine sferrò attacchi di successo nel tentativo di conquistare Rodi -1308 e fine del 1309). Vennero conquistate anche altre isole dell’area Egea (Kastellórizo, Bodrum) e l’Ordine si trasferì a Rodi, dove rimase per i successivi due secoli.
Foulques de Villaret
 (detto anche Folco del Vilaret o Fulk de Villaret, nativo della Linguadoca-Roussillon, in Francia), fu il venticinquesimo Gran Maestro dell’Ordine degli Ospitalieri tra il 1305 e il 1319, succedendo allo zio paterno Guillaume de Villaret nel 1305. Suo zio aveva influito notevolmente nella sua carriera nell’Ordine. Egli venne nominato Ammiraglio nel 1299, e Gran Comandante due anni dopo. Dal 1303 divenne Luogotenente del Gran Maestro, e avanzò quindi al grado di Gran Maestro alla morte dello zio). Il Villaret si rivolse al Papa Clemente V che, assurdo ma vero, con la bolla del 5 settembre 1307 diede l’investitura dell’isola al Gran Maestro Giovannita. Come è del tutto evidente il rescritto del Pontefice Romano non aveva alcun valore giuridico in quanto concedeva l’investitura di una terra assolutamente estranea alla sua sovranità ma tali formalità di natura, per così dire, burocratica durante il burrascoso periodo crociato rappresentavano solo un inutile eufemismo. Al Pontefice interessava solo il fatto di vedere sorgere un nuovo Stato cristiano in un punto assai caldo dell’area mediorientale; un nuovo baluardo della frontiera della cristianità.
Nel 1311, dunque, il Gran Maestro dell’Ordine Sovrano di San Giovanni di Gerusalemme, Foulques de Villaret, stanziò ufficialmente l’Ordine a Rodi. Cipro non era stata che un asilo temporaneo. I Cavalieri Ospitalieri cambiarono il loro nome in Cavalieri di Rodi. Lo sbarco dei Cavalieri e delle truppe su Rodi, cominciò agli inizi del 1307. Le operazioni si protrassero a lungo. La città risultò ben difesa. Si tentò anche una transazione con l’imperatore di Bisanzio, Andronico II Paleologo. Finalmente il governatore di Rodi capitolò e la città aprì le porte agli inizi del 1311.
Ad ogni modo, malgrado i benefìci che l’ordine trasse dalla soppressione dei Cavalieri Templari (i beni e i compiti dei Templari vennero affidati agli Ospitalieri dal Papa nel 1312), le campagne del de Villaret nell’espansione territoriale dell’ordine avevano indebitato pesantemente l’organizzazione. I debiti, cosa ancora più grave, non poterono essere saldati sino al 1330. De Villaret sembrava che avesse difficoltà a farsi ben volere fino a venir quasi alienato dall’ordine. Con lo stanziamento a Rodi, l’Ordine cominciò anche a coniare le monete. Una delle sue prime monete rappresenta il Gran Maestro Hélion di Villeneuve con la croce di Malta sulla spalla, inginocchiato davanti a un crocifisso. Da quel momento e fino al 1798, ogni Gran Maestro avrà le sue monete d’argento e di bronzo, talvolta anche d’oro.
Durante gli anni di Rodi, si elaborò poco a poco la forma amministrativa dell’Ordine: molto differente da quella che si ebbe in Palestina, perchè l’Ordine divenne un Governo, pur restando un organismo militare e religioso. E’ sempre a Rodi che si definì e si completò la lista e la gerarchia dei grandi dignitari, rappresentati a difesa dell’isola. Nel 1317, l’Ordine tentò un colpo di stato per rovesciare il Gran Maestro, il quale a detta delle cronache, si comportava in modo dispotico ed autoritario. Un gruppo scelto di cavalieri, si recò nella sua residenza di Rodini per assassinarlo, ma il suo Ciambellano lo aiutò nella fuga. Egli si recò quindi al castello degli Ospitalieri di Lindos, dove venne assediato dal suo stesso ordine. Nel frattempo, i cavalieri avevano eletto a Gran Maestro Maurice de Pagnac, e avevano scritto al Papa Giovanni XXII nel luglio di quell’anno per giustificare le loro azioni.
Maurice de Pagnac, tra il 1317-1322 eletto dai cavalieri di Rodi, aveva deposto illegalmente il Gran Maestro. Egli non fu riconosciuto dal Papa. Il Papa, convocò entrambi i gran maestri alla sua corte di Avignone per rivedere la disputa. Nel frattempo, fra’ Gerard de Pins amministrò l’ordine in nome del Papa. Il Pontefice riammise il de Villaret, ma solo qualora egli avesse dato le proprie dimissioni ufficiali da Gran Maestro. In sintesi, il Gran Maestro Foulque de Villaret era stato eletto nel 1308, ma illegalmente deposto nel 1317. De Pagnac ( eletto dai cavaleri) non riuscì, però, mai ad indossare la croce d’oro che simboleggiava la dignità del Capo, perché il Pontefice inter¬venendo nella incresciosa vicenda riabilitò il vecchio Gran Maestro. Si trattò, però, di un provvedimento di solo valore morale, perché i poteri dei Villaret vennero fortemente limitati nell’ambito della sfera economica; una riabilitazione salomonica per non sconten¬tare nessuno. Oltre alla creazione dello Stato ‘Cavalleresco di Rodi’, fra i meriti del Villaret va ricordato soprattutto il provvedimento di affranco della popolazione isolana che fu sollevata, finalmen¬te, dal secolare servaggio in cui fino ad allora era stata tenuta, creando quelle favorevoli premesse per la sua associazione alla di¬fesa dell’isola che nei decenni successivi puntualmente si verificò e fu di grande aiuto durante gli assedi portati dai Sultani Otto¬mani. Si deve tener presente che la stragrande maggioranza del¬la popolazione che viveva nell’isola era di religione Ortodossa – ma tale differenziazione fu del tutto superata negli anni avvenire per gli effetti del Concilio di Firenze del 1431, le cui decisioni vennero introdotte nell’isola il 13 dicembre 1452 e rese operative per l’as¬sociazione alla difesa nel 1474. Nel Concilio di Firenze partecipò il Metropolita di Rodi Nataliel (Arcivescovo della chiesa ortodossa), il quale aderì all’unione con la Chiesa di Roma. Nel 1474 ci fu l’accordo tra l’Arcivescovo Cattolico di Rodi ed il Metropolita Metrofane della chiesa ortodossa. La Chiesa Ortodossa dell’isola ritornò allo scisma solo dopo l’occupazione Ottomana quando riconobbe nuovamente la supremazia ‘del Patriarcato Ortodosso di Costantinopoli.

  • Capitolo VI

Cavalieri di Rodi

Fra’ Hélion de Villeneuve venne nominato nuovo Gran Maestro dell’Ordine il 18 giugno 1319, dal momento che Pagnac era morto nel frattempo. Il Papa nominò il de Villaret, Priore di Capua a vita, il 29 giugno di quell’anno, ma dopo nuovi contrasti locali, venne trasferito al Priorato di Roma nel 1325. Anche qui si ravvisarono dei contrasti e il Papa decise di mandarlo in pensione con un compenso annuo. Egli ritornò nella sua patria nativa, e visse come Fratello dell’Ordine nella casa della sorella, a Teyran, presso Montpellier. Qui morì il 1º settembre 1327, e venne sepolto nella Chiesa dei Templari di Montpellier.
Le succitate vicende sono riportate in un libera traduzione:
Nel 1312 e 1314 i Cavalieri di Rodi ha preso l’Islanda di Caria e altri Egeo Islanda sotto la loro giurisdizione. Questi Victorien fatto Gran Maestro (Villaret) arrogante e, dal suo bragging e superbia, l’odio sostenute dell ‘ordine, in modo che i Cavalieri Defected da lui e, dopo aver sequestrato lui, ma lui messi in custodia, salvo che egli stesso extricated dal carcere. Poiché essi non hanno il potere di imprigionare lui, che lo priva della dignità di Gran Maestro Fra eletti e Maurice de Pagnac al suo posto. Quando ha sentito parlare di questo, il Papa Giovanni XXII ha fatto grande offesa e ha inviato due rappresentanti di Rodi, al fine di condurre una inchiesta, dando loro un mandato di convocare Villaret e Pagnac a comparire in Avignone, e questo ha fatto. Nel frattempo il Papa fatto Fra Gerard de Pins o legati Vicario Generale dell’Ordine di San Giovanni. E’ stato lo stesso Gerard de Pins che tagliare 2.000 turchi al momento della Orcanes, quando l’imperatore turco è apparso sulla scean ad Islanda sconfitta di Rodi, durante il quale i Cvalieri di Rodi ha vinto nel Ammirabile vittoria nel 132le Nel frattempo, Maurice de Pagnac aver morì nel Mompessulum nel 1322, Fulque de Villaret è stato restaurato al suo ex dignità, ma quando vide quanto era odiato dai Cavalieri, ha abdicato nel 1323 e vissuto come un privato Cavaliere fino al 15 settembre 1327e Egli è stato sepolto a Mompessulum. Nello stesso anno, che ha abdicato, vale a dire 1322, i Cavalieri di Rodi offerto il Papa HELION Fra Jean de Villeneuve, della nazione, e del superiore, Provenza, e abate di San Egidius, a discarico, l’ufficio di Gran Maestro.

Capitolo VII

L’Ordine Ospitaliero di Rodi divenuto potenza navale

Come gà detto, all’Ordine Ospitaliero passarono molti dei beni confiscati all’Ordine del Tempio (Cavalieri Templari), che nel frattempo era stato soppresso. L’Ordine costruì una potente flotta e cominciò a solcare i mari orientali, impegnandosi a difendere la Cristianità in numerose e celebri battaglie tra cui le Crociate in Siria e in Egitto. L’Ordine apparve assimilabile ad una repubblica marinara al pari di Genova e Venezia. I membri dell’Ordine che giunsero a Rodi da ogni parte d’Europa, nonché le istituzioni dell’Ordine in Europa si raggrupparono fin dall’inizio del quattordicesimo secolo secondo le loro lingue di origine. Dapprima, esse furono sette: Provenza, Alvernia, Francia, Italia, Aragona (Navarra), Inghilterra (con Scozia e Irlanda) e Alemagna (dopo, nel 1492 – Castiglia e Portogallo si separarono dalla Lingua d’Aragona, costituendo l’ottava Lingua).
Ogni Lingua comprese i Priorati o Gran Priorati, i Baliaggi e le Commende. L’Ordine venne governato dal Gran Maestro (Principe di Rodi) e dal Consiglio, il quale provvide agli incassi pecuniari ed intrattenne rapporti diplomatici con gli altri Stati. Le altre cariche dell’Ordine vennero attribuite ai rappresentanti delle diverse Lingue, per cui la sede dell’Ordine ed il Convento erano composti da religiosi di varia nazionalità . Fortezza di terra a capo di un porto, Rodi poteva essere molto forte. Sotto l’impulso del Gran Maestro, gli uomini dell’Ordine si misero a edificare le fortificazioni della cittadella: una sorta di semi cerchio con baluardi dentati, privo della torre, che circondava una parte della città e gli edifici conventuali tra cui il palazzo del Grande Maestro, il tesoro,i palazzi dei grandi ufficiali, le locande (una per lingua) dove vivevano i Cavalieri, l’arsenale e i cantieri di riparazione delle navi vicini al porto. Quest’ultimo rappresentò il porto di guerra ed il porto di commercio. L’isola fu caratterizzata da castelli molto potenti, destinati a sbarrare la strada ad un eventuale sbarco di turchi. L’Ordine, divenuto una potenza sovrana, si trovò lanciato in un’interminabile avventura territoriale, tuttavia, decise di rimanere neutrale nei conflitti fra i principi cristiani ed applicò questa regola anche rispetto ai Greci, scrupolo raro in quest’epoca. L’Ordine aveva fissato la sua linea d’azione: una costante e violenta offensiva navale contro i Turchi. La guerra navale si combattè a più riprese. Quasi ogni uscita della flotta dell’Ordine, terminò con una vittoria.
Il Gran Maestro frà Helion de Villanueve fu un personaggio molto in vista nella Corte Pontificia e dal quale le autorità della Chiesa speravano di avere concreti aiuti per la rea¬lizzazione di una Lega navale cristiana, sostenuta soprattutto dai Genovesi e dai Veneziani e cioè una nuova Crociata che per obiet¬tivo non aveva i luoghi Santi, ma unicamente il contenimento della marineria Turca nell’Egeo orientale. Detto con un linguaggio più chiaro, il ritorno ‘dell’egemonia delle due Repubbliche mari¬nare nei traffici mediorientali ai quali, secondo il Pontefice, anche Rodi doveva ritenersi assai interessata Giovanni XXII riuscì, ad organizzare solo dopo alcuni anni, sotto il pontificato di Clemente V – una flotta di 20 galere (4 della Camera Apostolica, 5 di Venezia, 5 del Re di Cipro e 6 dell’Ordine Giovannita), ponendola sotto il comando dell’ammiraglio genovese Zaccaria. La prima operazione realizzata da tale flotta fu la presa di Smirne, che rimase, poi, sotto il governo dei Cavalieri fino all’anno 1408. Durante l’operazione contro Smirne morì il Comandante Zaccaria e venne sostituito dal giovannita frà Giovanni da Briandate di origine lombarda. Da quel momento e per la prima vo1ta una flotta portò le insegne dell’Ordine di San Giovanni. Ritornando a frà Helion, dopo la nomina a Gran Maestro e prima che partisse alla volta di Rodi, attese ad estinguere i debiti sia verso la Camera Apostolica sia verso i banchieri fiorentini. A tale scopo riunì un Capitolo nella città di Montepellier per imporre tasse e tributi vari ai vari Priorati europei da pagarsi alla Teso¬reria dell’Ordine ogni anno in occasione della festività di San Gio¬vanni. Per tasse e tributi a carico delle Commende e dei Priorati europei, Rodi rappresentò un vero pozzo senza fondo, perché gran¬di erano le necessità per mantenere sempre in efficienza un posto di frontiera così importante per la cristianità, sempre minacciato dagli Ottomani ed anche preda di calamità naturali.

  • Capitolo VII

L’Ordine Ospitaliero di Rodi divenuto potenza navale

Frà Hélion continuò l’opera già intrapresa dal Villaret, accrescendo soprattutto la potenzialità difensiva dell’isola. Fra le varie costruzioni dedicate alla difesa va ricordata la realizzazione del munito castello di difesa situato nel¬la costa settentrionale dell’isola conosciuta come Villanova. Tale castello ebbe importanza anche per le epoche successive, perché abitato dai Pascià turchi fino al 1912 e poi abitato anche dal Governatorato Italiano, come residenza estiva, fino al 1943.
Alla sua morte (1346) frà Hélion lasciò l’Ordine privo di debiti e la città di Rodi rifornita di ogni cosa. A ben ragione è ricordato dalla storia come il « Rettore Felice ». Fra i meriti del Villanueve va ricordato anche quello di aver reintrodotta nell’isola di Rodi la la¬vorazione artistica della ceramica attraverso valenti ceramisti persiani caduti prigionieri dei Cavalieri durante gli scontri navali nel mare Egeo (tale tradizione venne incrementata durante il periodo di sovranità dell’Italia, dalla Società ICARO dei maestri di Faenza e possiamo dire che anche al presente costituisce un capitolo im¬portante dell’economia turistica dell’isola).
Nell’anno 1346, dopo la morte di frà Hélion Villanueve – il Capitolo dei Giovanniti, riunitosi nel convento di Rodi, elesse alla carica di Gran Maestro il suo Luogotendnte, il cavaliere frà Deodato de Gozon, storicamente conosciuto come il « dragone extintor ». Anche se durante il suo governo il De Gozon non ebbe mai a de-meritare, si deve riconoscere che aveva una personalità assoluta¬mente originale, per non dire assai sconcertante.
Il De Gozon, riuscì, infatti, a suscitare la credibilità popolare intorno ad un epi¬sodio del tutto fantasioso: l’uccisione del mostro del Malpasso, una storia di caccia alle streghe della favolistica medioevale che risparmiamo per serietà ai lettori, ma che ebbe sicura influenza. Frà Deodato morì il 7 di¬cembre 1353 e venne sepolto nella chiesa magistrale di San Giovanni al Collacchio.
A frà Deodato successe frà Pietro de Corneillan, priore di San Gilles, che resse la carica solo due anni. Pur nella brevità del suo mandato espresse un carattere deciso e severo nelle questioni della disciplina e della morale perfettamente in linea con la sua profonda spiritualità. La storia lo ricorda giustamente come «correttore dei costumi » .
A frà Deodato successe frà Pietro de Corneillan, priore di San Gilles, che resse la carica solo due anni. Pur nella brevità del suo mandato espresse un carattere deciso e severo nelle questioni della disciplina e della morale perfettamente in linea con la sua profonda spiritualità. La storia lo ricorda giustamente come « correttore dei costumi » .
A frà Pietro de Corneillan successe nell’anno 1355 Ruggero des Pins (sopra citato) anche lui provenzale. Durante il suo governo l’intera regione Rodi compresa, venne afflitta da una tremenda pestilenza unita a grande carestia. Il Gran Maestro si adoperò al massimo per acquistare granaglie in Europa per sollevare il popolo rodiota dall’indigenza, arrivando a vendere perfino suppellettili preziose. In tale disastro¬so frangente il De Pins preoccupato ed avvilito chiedeva aiuti a destra e a manca per la sua martoriata isola. Per tale ragione è conosciuto come « l’elemosiniere ». Durante il suo governo portò aiuto al Re ‘di Cipro per la con¬quista di Satalia (Adalia) e di Gorligos, due città situate nel golfo di Alessandretta, meritandosi la riconoscenza del Pontefice (1302). Tutto ciò a ben ragione in quanto trovandosi in tale periodo i po¬tentati europei impegnati nella guerra dei cent’anni, non furono in grado di rispondere alla Crociata bandita da Urbano V ed il Re di Cipro fu costretto a difendersi da solo contro gli attacchi sempre più pressanti dei musulmani. Anche nel campo culturale l’attività del Des Pins fu molto intensa. Si deve, infatti, a lui la traduzione in latino degli Statuti dell’Ordine che raccolti in vo¬lume furono, poi, inviati a tutte le Commende e a tutti i Priorati cristiani .
PRESA DELLA NAVE “GRANDE CARAQUE”.
Nel 1357, al largo di Mégare, l’Ordine riportò ancora una grande vittoria navale. Ormai, la marina degli Ospitalieri, era una delle più forti nel mediterraneo. I Cavalieri dell’Ordine Sovrano di San Giovanni di Gerusalemme furono all’avanguardia per quanto riguardò la costruzione navale. Essi possedettero il primo corazzato (nave da guerra), la “Grande Caraque”,”Sant’Anna”, enorme nave a sei ponti, blindata con il piombo, ardita innovazione. L’equipaggio si compose di 300 uomini,che manovravano un’enorme artiglieria. La figura collocata sulla prua fu un’immensa statua di San Giovanni Battista, in legno scolpito, che si trovò in una delle cappelle di San Giovanni a La Valletta, a Malta.

  • Capitolo VIII

Resistenza dei Cavalieri di Rodi all’Impero Ottomano

La maggioranza dei cavalieri era composta spesso dai viziati rampolli delle varie dinastie europee. Per molti di essi più che la fede, premeva indossare il prestigioso abito cavalleresco. Dopo il necessario periodo di iniziazione trascorso sempre nel convento di Rodi, ai pericoli ed alle fatiche di un ambiente permanentemente in stato di guerra, preferivano la vita comoda delle Commende e le affettuose attenzioni di mammà, per cui la guarnigione di Rodi si riduceva spesso a poche centinaia di persone con grave pregiu¬dizio delle necessità di difesa. I Cavalieri saccheggiarono le coste della Siria e della Palestina e si fecero temere dai Turchi. Essi divennero presto degli eccellenti marinai e i difficili passaggi fra le isole non ebbero più segreti per loro. Il loro talento navale fu conosciuto e apprezzato in Occidente, tanto che nel 1294, Papa Nicola invitò il Gran Maestro a impegnare le sue galere in difesa dell’Armenia, gravemente minacciata. Questa nuova forza navale riportò una serie di bottini abbondanti; gli Ospitalieri non disprezzarono le seterie, i tappeti, i gioielli, le spezie, le armi e gli schiavi, di cui se ne appropriarono durante il corso delle operazioni navali. L’anno 1358 il Sultano Ottomano Amurat con una rapida azione s’impadroni di Gallipoli, destando notevole allarme nel convento di Rodi. Il Gran Maestro des Pins prendendo finalmente atto della sconcertante situazione delle forze stabilmente presenti nell’isola, emanò un severo provvedimento di richiamo per tutti gl’imboscati europei, obbligandoli nominativamente a raggiungere con ogni urgenza l’isola di Rodi. Si trattò di 63 cavalieri francesi e spagnoli e 37 italiani, inglesi e alemani. Nel 1476, il Gran Maestro Orsini morì (Giovanni Battista Orsini, o Jean-Baptiste des Ursins, fu Gran Maestro dell’Ordine degli Ospitalieri dal 1467 al 1476. Giovanni Battista Orsini originario del’Italia, proveniva dalla nobile famiglia romana degli Orsini, ed era il figlio maggiore di Lorenzo Orsini (Signore di Monterotondo; *1410 – † 1452) e di Clarice. Nel 1470 fece restaurare la Fortezza di Feraklos, posta sull’isola di Rodi. Al Concistorio del 15 novembre 1483 venne nominato da Papa Sisto IV Protonotario Apostolico.Nel 1503 incontrò Cesare Borgia, col quale intrattenne stretti rapporti d’amicizia).
Nello stesso anno 1476 Pierre d’Aubusson fu eletto, senza opposizione, 34° Grande Maestro dell’Ordine, dopo essersi legato strettamente alla figura del Gran Maestro predecessore, Piero Raimondo Zacosta, e dopo essere stato il responsabile delle riparazioni e delle modernizzazioni delle fortificazioni della città di Rodi, e di altri castelli posti sulle isole del Dodecaneso, compreso lo “Château Saint Pierre” ad Alicarnasso (attuale Bodrum, in Turchia). Egli fu uno zelante oppositore dei Turchi, ossia dell’Impero Ottomano. Il Gran Maestro d’Aubusson estese e controllò a fondo l’armamento e il rifornimento sull’isola, facendo arrivare dall’Italia 400 corazzate ed enormi catene per bloccare le porte; inoltre, importò grano, bestiame e tutto ciò di cui aveva bisogno per sostenere un assedio, che sarebbe stato certamente lungo e molto duro. Egli fece sgomberare gli approdi dei baluardi, demolendo giardini, case di campagna e anche chiese dove il nemico si sarebbe potuto rifugiare. D’Aubusson – praticando la tecnica della terra bruciata – fece tagliare le mietiture ancora verdi e indicò agli abitanti il forte o il bastione dove dovevano ripiegare qualora avessero avvistato la flotta Turca. Alcuni membri dell’Ordine raggiunsero Rodi, appena il Gran Maestro inviò “l’appello al convento”, una sorta di mobilitazione generale.
Intanto, Maometto II, sultano dell’Impero Ottomano, fece costruire una flotta allo scopo di sferrare l’attacco contro i Cavalieri cristiani. La flotta turca venne comandata da un rinnegato, il Pascià Misach, nato come Michael Paleologo, discendente degli imperatori, ma che aveva preso il turbante alla caduta di Costantinopoli per salvarsi dal taglio della testa. Questa origine – sospetta a Maometto – fece del Paleologo il più furioso avversario dei cristiani, la cui crudeltà alimentò la sua ambizione. Maometto II (in ottomano: محمد ثانى, Mehmet II, detto ﺍلفاتح, Fātiḥ, “Il Conquistatore”; turco moderno: Fatih Sultan Mehmet; Edirne, 29 marzo 1432 – Scutari, 3 maggio 1481) fu il settimo sultano dell’Impero ottomano.Salito al trono a soli 13 anni dopo l’abdicazione del padre Murad II, divenne sovrano effettivo solo nel 1451 perché nel frattempo il padre aveva ripreso il potere.Tra i primi atti di governo, per consolidare il suo trono (come del resto prevedeva la spietata tradizione di molte dinastie turki[1] onde non smembrare i regni), fece uccidere tutti i fratelli e fratellastri possibili pretendenti alla successione. All’età di 21 anni conquistò Costantinopoli (1453), ponendo fine all’Impero Bizantino). Il 23 aprile del 1840, all’alba, si scorsero le vele turche, ossia le 150 navi che portarono 100.000 uomini con il relativo equipaggiamento, l’artiglieria, e le macchine da guerra. Al fianco del Paleologo vi era il tedesco George Frappan, buon ingegnere che studiò da vicino i baluardi dell’Ordine: l’isola si sarebbe dovuta distruggere fino alla fine ( a ferro e fuoco). I Turchi attaccarono moltissime volte, ma i Cavalieri e tutta la popolazione, dopo furiosi combattimenti, riuscirono ogni volta a respingerli.
Paleologo si inferocì ancor più, non potendo raggiungere il proprio intento. Il tedesco George Frappan, introdotto come spia all’interno della città, non fu in grado di fornire alcuna informazione, poiché tutti diffidavano di lui. Ormai l’unica possibilità rimasta apparve l’attacco frontale, ricorrendo alle tattiche tradizionali di assedio. L’artiglieria fu allora puntata contro i baluardi, in quanto i Turchi speravano di demolirli a colpi di cannone. Il Gran Maestro D’Aubusson intuì che sotto i continui colpi dell’artiglieria turca poteva aprirsi una breccia, allora fece demolire qualche casa del ghetto per costruire, in tutta fretta, una seconda muraglia, posteriore alla prima, raddoppiata da un fossato. Quando i Turchi riuscirono ad assaltare la città, furono colti di sorpresa, perché, varcata la prima breccia, non poterono avanzare da nessuna parte (de facto: altra muraglia si presentava da demolire). Il combattimento durò tutta la notte e, fattosi giorno, si poterono cominciare a stimare i danni. Nei giorni seguenti, l’attacco della muraglia a cura dei turchi riprese e, l’artiglieria attaccò ancora altri tre punti del baluardo, utilizzando 3.500 palle da cannone,trincee, scarichi di catapulte.

  • Capitolo VIII

Resistenza dei Cavalieri di Rodi all’Impero Ottomano

Nel frattempo, la spia tedesca, Frappan, si tradì, in quanto, condotto al baluardo dalla sua scorta e invitato a esprimere la sua strategia per la difesa, fece spostare una batteria in una nuova postazione appositamente scelta per attirare i colpi di cannone su un settore debole e anche per fungere da segnale per i nemici (turchi). Frappan, interrogato, confessò che era stato mandato da Maometto II per prendere informazioni, a qual punto fu immediatamente impiccato. Il 27 luglio 1480, Paleologo tenta un ultimo grande attacco all’isola di Rodi, lanciando 40.000 uomini sui baluardi. Alcune donne cristiane, vestite da uomini, si unirono ai Cavalieri (difensori) per non rischiare di cadere nelle mani dei Turchi. Alla fine, i Cavalieri diedero nuovamente prova di grandissimo coraggio e riuscirono così a respingere i Turchi.
L’assedio di Rodi era ormai quasi alla fine, quando Paleologo chiese lo stato delle perdite: si registrò una catastrofe per i Turchi. Allora Paleologo, comandante della flotta turca, organizzò la ritirata e l’evacuazione delle sue truppe, dovendo fare fronte a un triplo pericolo: i Cavalieri, una flotta ispano-napoletana che era stata segnalata e la spaventosa accoglienza che lo aspettava a Costantinopoli. Anche l’ammiraglio turco era stato ferito durante l’azione. Il suo ritorno in Turchia fu penoso. Riuscì a salvarsi dalla sentenza di morte e fu esiliato a Gallipoli da Maometto II. I Turchi ebbero gravi perdite stimate intorno a 2500 uomini, mentre i Cavalieri Ospitalieri di Rodi contarono numerosi feriti ed appena 12 morti. Tuttavia i Cavalieri conclusero la battaglia con un accanito inseguimento sugli ultimi combattenti turchi, i quali fuggirono cercando di imbarcarsi. L’attacco fu guidato dal Cavaliere Médéric du Puy e da un francescano dal nome Fradin, il quale inseguì i turchi fino al mare. Fra i morti si trovò il nipote di Maometto II. Pierre d’Aubusson il Grande Maestro dell’Ordine, colmò di favori i Cavalieri e gli abitanti di Rodi. L’Ordine decise di mandare il Gran Maestro a Roma, dove fu ricevuto dal Papa con gli onori reali. Il pericolo turco, per qualche tempo, fu allontanato.
Maometto II, dopo le prime esplosioni di rabbia, decise di riprendere personalmente il comando e di porre fine alla sorte di Rodi. Riuscì a riunire 30.000 uomini, quando morì all’improvviso, in una piccola città dell’Anatolia, Teggiar Tzair. Sulla sua tomba venne inciso: “mi sono prefissato di conquistare Rodi e di soggiogare la superba Italia.”
Nel 1512, Guy de Blanchefort, nipote di Pierre d’Aubusson, venne eletto 40° Gran Maestro dell’Ordine. Si imbarcò per Rodi nel 1513, essendo malato morì in mare, all’altezza di Zante. A quel tempo, il Cavaliere Philippe de Villiers de L’Isle-Adam, della Lingua di Francia, cominciò a farsi una reputazione notevole come marinaio; messosi a capo della marina dell’Ordine riportò una grande vittoria navale, distruggendo all’ormeggio una flotta Egiziana carica di legna per le costruzioni del sultano. Per di più, ottenne un bottino considerevole. Poco dopo, L’Isle-Adam fu inviato come Ambasciatore presso Luigi XII.
Nel 1520 , alla morte del Sultano Sélim, succedette il figlio unico, Soliman. Egli portò avanti il progetto di attaccare Rodi e riprese i preparativi. Soliman – intelligente, bravo e relativamente leale, avendo in sé il senso della giustizia e dell’equità – fu uno dei più grandi sovrani della dinastia ottomana. Nel 1520 morì il 41° Gran Maestro dell’Ordine, Fabricius Carretto e la nuova elezione vide a confronto L’Isle-Adam e André d’Amaral della Lingua di Portogallo – Cancelliere dell’Ordine e Grande Priore di Castiglia, quest’ultimo già rivale di L’Isle-Adam nel mare. L’Isle –Adam, dimorante già in Francia, fu eletto all’unanimità 42° Gran Maestro.
PHILIPPE VILLIERS DE L’ISLE-ADAM (1464 – 1534) fu Gran Maestro dell’Ordine degli Ospitalieri e poi di Malta. Avendo raggiunto la posizione di Priore della Langue d’Auvergne, venne eletto Gran Maestro nel 1521.Egli comandò l’Ordine durante il sanguinoso assedio di Rodi, guidato dal Sultano Solimano il Magnifico, nel 1522, dove 600 cavalieri e 4.000 soldati resistettero agli invasori, che potevano contare sulla potenza di 20.000 uomini, per sei mesi, ma alla fine negoziarono la capitolazione e la partenza dei cavalieri dall’isola, il giorno di capodanno, dell’anno 1523, alla volta di Creta.Egli quindi governò l’ordine per diversi anni senza una sede formale per i cavalieri, i quali si rifugiarono prima a Creta, poi a Messina, poi a Viterbo e finalmente a Nizza (1527-1529). Nel 1530 de L’Isle-Adam ottenne in concessione per l’Ordine le isole di Malta e Gozo e il porto nordafricano di Tripoli come feudo dall’Imperatore Carlo V e l’ordine ritrovò la sua sede, assumendo la reggenza delle isole..Villiers de L’Isle-Adam morì a Malta il 21 agosto 1534.Si reputa che fu da quel momento che d’Amaral cominciò a meditare e a preparare il tradimento, mettendosi in contatto con Soliman per potergli facilitare la conquista di Rodi. Il 24 giugno 1522, l’avanguardia turca arrivò davanti Rodi: comprendeva 250 navi, 200 000 combattenti, di cui 18 000 giannizzeri e 60 000 pionieri. Tutto considerato, l’armata appave notevolmente massiccia. Nel 1522 Solimano II il Magnifico attaccò l’isola di Rodi con settecento navi e duecentomila uomini.
L’Isle-Adam ebbe fra le mani non più di: 600 Cavalieri e 6000 uomini. Il Grande Mestro fece appello a tutti quelli che potevano portare delle armi a Rodi. Ancora una volta le donne si distinsero. Fu nuovamente una guerra di trincee e di catapulte. I Turchi elevarono numerose macchine d’assedio, abbastanza alte per colpire al di sopra dei baluardi, all’interno della città. Il 24 settembre fu lanciato un assalto generale, dopo una furiosa preparazione di artiglieria. Ci fu un grandissimo scompiglio, che dilagò ovunque,nel corso di 48 ore. L’architetto italiano, Gabriele Matinego, sorvegliando la stato delle fortificazioni e dirigendo le riparazioni urgenti, si trovò contemporaneamente in posti diversi e fu anche gravemente ferito alla testa. Dopo questi due giorni di incessanti combattimenti, Soliman, stanco, diede l’ordine di abbandonare, quando d’Amaral lo avvertì che i difensori erano allo stremo delle forze: il messaggio partì per il tramite di una freccia tirata dal baluardo da un servo di d’Amaral; quest’ultimo fu osservato, seguito e arrestato. Il servo, allora, denunciò il suo padrone D’Amaral, il quale negò tutto e continuò a negare sotto tortura, sostenuto, in questo, dal grande odio verso il Gran Maestro. Alla fine fu condannato a morte e si avviò al supplizio con un’indifferenza altezzosa. La sua esecuzione non cambiò il corso degli avvenimenti. Il Gran Maestro sperò nell’aiuto di Venezia che possedeva una squadra navale a Candie: non ottenne nulla. Venezia si guardò bene dal soccorrere gli avversari dei Turchi. Dei vascelli inglesi e spagnoli furono respinti dalla flotta Turca.

  • Capitolo VIII

Resistenza dei Cavalieri di Rodi all’Impero Ottomano

Gli assalti dei Turchi si rinnovarono e la popolazione civile cominciò a mormorare. I Greci si ribellarono alla sorte che li attendeva se il nemico avesse espugnato d’assalto la città. Essi mandarono il loro metropolita a L’Isle-Adam per pregarlo di negoziare, prospettandogli le devastazioni e i massacri che sicuramente si sarebbero verificati. Questo modo di procedere non ebbe alcun successo. L’Isle-Adam rifiutò tutti i suggerimenti che avrebbero portato a una capitolazione. Gli assalti si susseguirono ed si fecero sempre più micidiali. La popolazione abbandonò l’Ordine: i Cavalieri tentarono di salvare le loro famiglie. L’Isle-Adam consultò il Consiglio e soprattutto Martinego e Prigent de Bidoux, il cui il coraggio si collocava al di sopra di tutti gli elogi. Anche loro dichiararono che ormai non c’era più niente da tentare. Dunque, i Cavalieri di Rodi, in soli trecento, dopo sei mesi di assedio e di cruenti combattimenti, furono costretti ad arrendersi, abbandonando l’isola di Rodi con gli onori militari. I superstiti si diressero verso Candia. Senza ricevere aiuti dai sovrani europei i cavalieri superstiti vagarono tra Candia e la Sicilia, tra Civitavecchia e Marsiglia. Allora, il Gran Maestro fece saltare le chiese, affinché non fossero profanate, poi mandò il Cavaliere Petrucci per far sapere a Soliman che avrebbe accettato di negoziare se fossero stati garantiti la vita e l’incolumità dei difensori e degli abitanti di Rodi.
SOLIMAN accettò la proposta del Gran Maestro, e promise di rispettare inviolabilmente il trattato e comandò che venissero spedite le lettere in cui si dichiarava che le chiese non sarebbero state profanate, che non avrebbero assolutamente preso dei tributi per i giannizzeri, che i cristiani avrebbero potuto esercitare liberamente la loro religione, che gli abitanti sarebbero stati esonerati da tutti gli incarichi per 5 anni, che chi avesse voluto, sarebbe potuto andare via per 3 anni, con propri mobili in tutta sicurezza, che Soliman avrebbe fornito a tutti quelli dell’Ordine i suoi vascelli per permettere a tutti di raggiungere Candie e che avrebbero importato la loro artiglieria in base a quanta ne avrebbero potuta caricare, che sarebbero dovuti partiti entro 12 giorni, che il castello di Saint-Pierre, Lango e le altre isole,e fortezze sarebbero state restituite a Soliman. Il sultano accettò la proposta del Gran Maestro a causa delle spaventose perdite che aveva subito la sua armata, del tutto sproporzionata rispetto al numero dei nemici che la avevano attaccata. Così, fece allontanare le sue truppe dalle mura per creare un po’ di distanza al fine di evitare degli incidenti e non mandò che appena 400 giannizzeri per prendere possesso di Rodi. Il grande soldato Solidam ammirò senz’altro la superba difesa di L’Isle-Adam e il suo atteggiamento al momento della capitolazione. I due avversari erano giunti allo stremo delle forze e, Soliman, in fondo, non era molto sicuro che nessun rinforzo sarebbe venuto in soccorso dell’Ordine: per questo agì in fretta. Sopravvalutò in questo la devozione alla causa e la lealtà dell’Occidente: non si presentò mai nessun aiuto. L’Ordine risultò abbandonato con una serena indifferenza.
La capitolazione fu completa il giorno di Natale del 1522, una volta che i testi vennero redatti e L’Isle-Adam si recò al Quartier generale di Soliman per consegnarli. Il Gran Maestro e la sua scorta furono ricevuti e Soliman fece consegnare ai Cavalieri delle vesti magnifiche e li accolse con molta cortesia, dicendogli tramite il suo interprete che “le conquiste o le perdite degli imperi erano dei giochi ordinari del destino.” Soliman cercò di avvicinare a lui L’Isle-Adam offrendogli tutti gli incarichi o le dignità che desiderava nel suo impero. Il Gran Maestro ringraziò nel modo più educato possibile e disse che considerazioni di questo genere erano fuori questione, e che avrebbe desiderato solo che ci si attenesse ai termini del trattato. Soliman giurò ancora una volta che la sua parola era inviolata. I patti furono rispettati da Soliman. E’ probabile che il Sultano non fosse responsabile dei disordini che si verificarono 5 giorni più tardi, quando un gruppo di giannizzeri invase improvvisamente una parte delle case, saccheggiando, violando, devastando delle chiese. Devastarono l’ospedale, scacciarono i malati e i feriti e rubarono l’argenteria. Minacciarono financo il palazzo del Gran Maestro che,a sua volta, andò a protestare con uno dei capi il quale fece sapere immediatamente ai giannizzeri che li considerava personalmente responsabili dei disordini. Tutto si calmò. Più tardi, Soliman attraversò la città, chiedendo di essere ricevuto dal Gran Maestro. Fu ancora una volta di un’amabilità squisita, e pregò L’Isle-Adam di prendersi tutto il tempo che gli occorreva per preparare il suo imbarco: se i dodici giorni non gli erano sufficienti, il termine sarebbe stato prolungato. Uscendo dal palazzo disse ad uno dei suoi ufficiali: “Non senza pena obbligo questo cristiano, alla sua età, a lasciare la sua casa”. Infatti L’Isle-adam e i suoi dovettero partire in tutta fretta: Soliman stava per rientrare a Costantinopoli e i Cavalieri ritennero pericoloso rimanere nell’isola dopo la sua partenza,esposti a tutti i soprusi dei suoi subalterni. Questi tentarono di ridurre in schiavitù i Turchi di Rodi che si erano fatti cristiani, non ammettendoli nei termini della capitolazione. L’evacuazione definitiva ebbe luogo il 1° gennaio 1523. Una cinquantina di navi portarono via i vinti. Oltre ai Cavalieri, alle loro truppe, ai feriti dell’assedio, 4000 o 5000 Rodiani si imbarcarono, abbandonando quasi tutti i loro averi per non restare alla mercè dei turchi. Il Gran Maestro e i grandi dignitari dell’Ordine salparono a bordo della Grande Caraque, l’enorme veliero avente la statua di San Giovanni Battista sulla prua. La flotta fece vela verso Candie. Il tempo occorrente per raggiungere l’isola si aggirò dai sette ai 10 giorni, dovendo attraversare una delle dure burrasche invernali del Mediterraneo orientale. Alcuni vascelli troppo carichi affondarono, ma si riuscirono a salvare i passeggeri. La Caraque non affondò per un fatale destino. Finalmente, la flotta, pian piano, raggiunse le porte di Creta. L’accoglienza del Duca, che rappresentava Venezia, fu calorosa. Il Gran Maestro L’Isle-Adam, al contrario si mostrò freddo: non perdonò a Venezia la sua inerzia. Poi, bisognò rimettersi in ordine e controllare in che stato si fosse. Alcuni dei rifugiati si trovarono in uno stato pietoso.

  • Capitolo VIII

Resistenza dei Cavalieri di Rodi all’Impero Ottomano

Qualche giorno più tardi arrivarono l’arcivescovo latino di Rodi e qualche gentil uomo (greco o latino), cacciato da Soliman in spregio al trattato, che annunciarono al Gran Maestro l’assassinio del figlio e dei nipoti del Principe Zizim (figlio d Maometto II, convertito al cristianesimo, che viveva a Rodi) e della diserzione del vice cancelliere Bartolomeo Politian, rimasto a Rodi per salvare i suoi beni, impresa fallita perché fu scacciato poco dopo. Il Consiglio dell’Ordine lo destituì. Dopo aver raggruppato la sua gente, a marzo del 1523, il Gran Maestro L’Isle-Adam partì per Messina. In Europa, in un primo momento, si credette che Rodi fosse rimasta salva e i Turchi cacciati. Dopo, si capì che l’assedio era continuato e che le cose andarono diversamente. Il 18 febbraio 1523, Winfield scrisse al Cardinale Wolsey informandolo della capitolazione e dal Campeggio, due giorni più tardi, confermò la notizia con un ammonimento: la prossima isola attaccata sarebbe stata la Sicilia. Molto probabilmente i Turchi miravano alla conquista della Sicilia, per poi in seguito continuare a tenere nella morsa la parte sud dell’Europa. Occorreva seriamente organizzarsi ed agire di conseguenza. Secondo una lettera a Wolsey del 28 febbraio 1523, non si sapeva dove si fosse recato il 42° Gran Maestro L’Isle-Adam dopo la sua partenza da Rodi. Si suppose, tuttavia, che si trovasse a Candia e, ci si chiese quale sarebbe stato il suo atteggiamento dopo il disastro avvenuto a Rodi (la caduta di Rodi): la fine dei crociati da rapportare nella debolezza e nll’indifferenza dell’Occidente, responsabili della sconfitta. Come nel 1291, si volle ignorare il dramma che si stava compiendo e se ne affrettò la caduta. Non è ben chiaro cosa rappresentasse l’Ordine in Europa e che ruolo giocasse nella sua isola lontana. Forse, l’importanza del ruolo svolto da quest’ordine internazionale, dalle tradizioni medievali, quale baluardo ed avamposto estremo dei valori della cristianità e della cultura occidentale non fu adeguatamente ompreso e, pertanto, la caduta di Rodi non suscitò alcuna emozione.
Sembra che un autore anonimo inglese, in “The Beginning and Foundation of the Holy Hospital of the Order of the Knights of St. John of jerusalem”, pubblicato nel 1524, conclude: “Vai piccolo libro, e porta a tutti gli Stati il tuo pianto doloroso del Terribile assedio di Rodi, e di questo improvviso cambiamento.” Mentre E. Brantome, nei suoi “Uomini illustri e Grandi Capitani Francesi” scrive: “Così si è persa la bella isola e città di Rodi, la quale io ritengo servisse da baluardo per tutti la cristianità e da terrore per tutta la Turchia; sicché quando Soliman, ne fece la sua impresa, tutti i suoi Pascià e i suoi Capitani di guerra, lo distolsero in tutti i modi che poterono, e gli mostrarono i grandi inconvenienti che si basavano sull’assedio passato,da cui, il suo bisnonno Maometto non aveva ricevuto che vergogna e perdite;anche i suoi giannizzeri avevano cominciato a mormorare quando si resero conto che li stava conducendo là, tanto forte fu il loro presentimento di qualcosa di brutto sull’esempio del passato… Si continuò comunque l’assedio, per amore di suo padre, che gli aveva raccomandato alla sua morte la conquista di questo posto e di Belgrado, delle quali aveva delle mire, e doveva riuscirci senza morire.questo giovane principe,coraggioso e ambizioso, non voleva assolutamente risultare degenere rispetto ai suoi predecessori.Il Sultano Maometto, il Sultano Bajazet, e il Sultano Sélim,erano stati tutti dei grandi conquistatori e per questo conquistò anche lui queste due belle città. Belgrado venne conquistata dal suo generale, Rodi da lui in persona,dopo che essi ebbero fatto morire là davanti 104 000 Turchi, di cui 64 000 morirono per colpo di mano e il resto a causa delle sofferenze,della miseria e delle malattie…”.
A dimostrazione, il Papa e le potenze dell’Occidente non si curarono affatto di quello che era successo a Rodi; infatti, il Papa organizzò, insieme a Enrico VIII e Carlo V, una coalizione contro Francesco I; i Re di Portogallo e di Inghilterra reputarono l’Ordine moribondo e cominciarono a confiscarne i beni, in favore delle rispettive Corone. Per Enrico VIII, questa fu una delle tappe del lungo e sinuoso cammino che lo stava portando alla rottura con Roma. In seguito, gli alleati entrarono in conflitto fra loro e, nel 1527, Roma venne assediata dal comandante delle milizie di Borbone, per conto di Carlo V. In questo vespaio, si comprende l’indifferenza dimostrata nei confronti dell’Ordine. In Sicilia, L’Isle-Adam riprese i contatti con alcuni Cavalieri che non avevano risposto al suo appello in convento, venendo così a mancare di quel numero necessario che avrebbe permesso di respingere l’attacco turco. I Cavalieri spiegarono al Gran Maestro, le ragioni, buone o cattive, per cui era stato impossibile partire: il tempo, in autunno, è generalmente brutto nel Mediterraneo orientale e le flotte avrebbero corso un reale e grande pericolo; i principi non avevano rifornimenti e armamenti; e c’era bisogno di una squadra forte per forzare il blocco turco. Nel 1530, il Gran Maestro fra’ Philippe de Villiers prese possesso dell’isola di Malta, ceduta all’Ordine dall’Imperatore Carlo V con l’approvazione di Papa Clemente VII. Si statuì che l’Ordine sarebbe rimasto neutrale nelle guerre tra nazioni cristiane.

  • Capitolo IX

Organizzazione e Struttura dei Cavalieri

Nel corso degli anni, il ruolo del Gran Maestro varia a seconda del potere che gli si conferisce. Nella maggior parte dei casi, non si elesse, per questo impiego, un uomo dalla personalità di primo piano. Tuttavia ci si dovette rassegnare all’arrivo di momenti difficili: Folques de Villaret, Heredia, Lastic, Philibert de Naillac, Pierre d’Aubusson, Philippe de Villiers de l’Isle-Adam a Rodi, personaggi certamente in competizione fra le grandi figure del loro tempo. La maggiorparte dei Gran Maestri è stata abbastanza messa in disparte, e si videro delle scelte analoghe durante gli anni del loro soggiorno a Malta. Il Gran Maestro si circondò sempre più di lusso e di sfarzo: apparendo e parificandosi al Principe Sovrano e non più ad un monaco. Questa messa in scena fu indispensabile in Oriente, dove il Gran Maestro dovette difendere il suo rango, di fronte all’imperatore Greco e ai Turchi. Di fronte a questi, bisognava imporsi tanto con la ricchezza, quanto con la forza. La regola dell’Ordine non fu certamente quella di San Benedetto e per tutti i grandi “Signori di Rodi”, fu obbligatorio stabilire e rispettare un’etichetta. All’epoca dei suoi viaggi in Occidente, il Gran Maestro restò ospite d’onore dei Sovrani: il Re di Francia e il Re d’Inghilterra.

Il Grande Precettore o Grande Comandante, unico Sovrano latino in Medio Oriente, detentore della tradizione cristiana, d’innanzi al crollo di Bisanzio e all’avanzata musulmana, dovette atteggiarsi a grandissimo Signore. Egli assicurò il governo dell’Ordine in assenza del Gran Maestro. Il suo ruolo a Rodi cosituì grande importanza, i Gran Maestri, allora, facevano frequentemente dei lunghi soggiorni in Occidente e molti si erano dimessi. Egli divenne in seguito il “pilastro” o direttore della locanda della Provenza. Il grande Ospitaliero dirisse l’ospedale, cosa che gli assicurò dei grandi privilegi, ma anche delle incombenze. Egli rappresentò il pilastro della Lingua di Francia.

Il pilastro della Lingua d’Alvernia fu il Grande Maresciallo, Governatore dell’isola, di cui occorreva organizzarne la difesa.

Il Grande Ammiraglio rappresentò il pilastro della Lingua d’Italia. Il suo ruolo ebbe un’importanza costantemente crescente, parallelamente a quella della flotta.

Il Drappiere dell’Ordine divenne il pilastro della Lingua d’Aragona, addetto all’equipaggiamento e all’abbigliamento dei Cavalieri. Non si trattò di una sinecura (beneficio ecclesiastico senza obblighi di rito), poiché alcuni regolamenti stabilirono in maniera rigorosa lo stile di abbigliamento dei Cavalieri.

Un decreto del 34° Grande Maestro, Jean de Lastic, dice questo: “Ai frati che hanno fatto voto di obbedienza,non è permesso di vivere secondo il loro piacimento; la loro sottomissione deve risultare in tutte le cose. E’ per questa ragione che proibiamo ai frati di farsi fare degli abiti corti o lunghi, senza l’autorizzazione del Grande Conservatore. Se qualcuno lo farà ugualmente, disobbedendo alle regole, dovrà risponderne al Maresciallo e comunque sarà punito con la “septaine” – sanzione che porta agli arresti e alle bastonate.

Le fondamenta della Lingua di Castiglia e del Portogallo vennero poste in capo al Grande Cancelliere, che sigillava gli atti dell’Ordine. La regola principe, che questo importante dignitario doveva seguire, constò nel saper leggere e scrivere, precauzione presa sin dagli inizi dell’Ordine, in un’epoca in cui i grandi signori non possedevano questi talenti. Il Cancelliere si avvalse di un assistente, considerato i numerosi compiti da svolgere.

Il Grande Podestà, direttore delle fortificazioni, raffigurò il pilastro della Lingua Tedesca. Tale lingua fu scarsamente adoperata,e ancora meno dopo la scissione dei Cavalieri di Brandebourg. Successivamente la nuova unione dell’Ordine la maggior parte dei Cavalieri di Brandebourg rimase nei paesi dell’Est, facendo a Rodi delle visite sporadiche e strettamente necessarie.

Il “turcopolier”, capo della cavalleria arruolata nel paese, rapresentò il pilastro della Lingua d’Inghilterra. Identico ruolo ebbe in Palestina. Invero, a Rodi il ruolo della cavalleria venne meno e il “turcopolier” assunse il ruolo di capo delle flottiglie di piccole navi leggere, il cui compito fu la sorveglianza degli approdi sull’isola e il rifornimento da apportare alle truppe poste a presidio.

Il Capo delle operazioni divenne l’architetto dell’Ordine, ruolo importante e complesso presso i grandi costruttori. Nei recinti dei baluardi, i Cavalieri vissero nelle cosiddette “locande”, ciascuno a seconda della propria Lingua.

  • Capitolo X

Gli Ospitalieri e i Templari

La storia degli Ospitalieri si lega, come abbiamo accennato, a quella dei Templari. Non si sa ciò che sarebbe successo agli Ospitalieri se, come i loro confratelli Templari, sarebbero rientrati in Francia. Preferirono vocazione o cattivi presentimenti? Restare in Oriente e prepararsi a riprendere la lotta? I Templari rientrarono: essi, dopo aver venduto l’isola, avevano meno domini a Cipro rispetto agli Ospitalieri e, soprattutto, erano in cattivi rapporti con i Lusignani. Questa situazione comunque, non aveva nulla di drammatico, l’ordine dei Templari aveva un’enorme fortuna. Furono attirati in Occidente, secondo il loro punto di vista, dalle manifestazioni lusinghiere di Filippo il Bello e del Papa: in pochi anni fu la catastrofe. La prima tappa della lotta contro i Templari inizia subito dopo la morte di San Giovanni d’Acre, il 16 agosto 1291, il Papa Nicola V ordina all’Arcivescovo di Spalato, di cercare un modo per fondere insieme il Tempio e l’Ospedale e di far pervenire il suo progetto alla Santa Sede. Due giorni più tardi chiese l’opinione di Filippo il Bello. I due ordini rifiutarono. Qualche anno più tardi, Jacques de Molay, Gran Maestro del Tempio, spiegò le ragioni del suo rifiuto. A partire da quel momento la lotta contro il Tempio seguì il suo corso: marce lente e tortuose all’inizio, per poi arrivare brutalmente ad arresti, torture e roghi. Il problema principale, sia ben chiaro, fu la fortuna in denaro dell’Ordine, in un’epoca in cui il numerario era raro. Gli Ospitalieri di San Giovanni ebbero anch’essi una fortuna considerevole, ma consistette per la maggior parte, in appezzamenti di terreni. Da subito, per giustificare la spoliazione dell’Ordine dei Templari, vennero emanate le famose accuse di eresia, di idolatria e sodomia. La più totale cattiva fede prese corpo in tutte le operazioni. Un elemento aggravante fu che i Templari assistettero a tutto il dramma delle crociate, dell’abbandono nel quale si era lasciata la Terra Santa: i Templari divennero testimoni scomodi e pericolosi. Cominciò allora la persecuzione e la soppressione di quest’ultimi con giustificazioni banali come l’eresia. Il ruolo degli Ospitalieri di San Giovanni, in questo affare sinistro, pare sia stato leale. Si trovarono a Cipro, richiamati intorno al piccolo nucleo dei frati superstiti, rimasti in occidente, per riunirsi nuovamante e riprendre la lotta. Essi si disinteressarono dei problemi sollevati in Francia per le persecuzioni contro i Templari. Un certo numero di Templari che riuscirono a sfuggire al rogo, entrarono a far parte degli Ospitalieri. Il Papa, probabilmente vergognandosi del ruolo che Filippo il Bello gli aveva costretto ad assumere nella persecuzione, si rifiutò di essere suo complice, assegnando agli Ospitalieri di San Giovanni le terre dei Templari, invece di lasciarle alle diverse corone. Il passaggio non fu però molto facile: Filippo il Bello,che aveva messo le mani sul denaro dei Templari, creò molti problemi per restituire le terre. E’ da quel momento che gli Ospitalieri di San Giovanni ebbero in possesso una serie di domini chiamati ” il Tempio di…”: il Tempio di Parigi, il Tempio di Laumusse, il Tempio di Ayen, Ivry-il-Tempio, il Tempio d’Angers, il Tempio de le Rochelle, etc.
Solamente nel 1313, il Re di Francia accettò di rimettere a Léonard de Tiberti, rappresentante dell’Ordine, le terre confiscate ai Templari. Le stesse difficoltà si manifestarono altrove. In Inghilterra, Edoardo II interdisse tutte le confische per il grande priorato d’Inghilterra, poi accettò di rimettere i domini, ma numerosi baroni della sua corte ne usufruirono durante l’intervallo: in Essex, a Lincoln, a York, a Cheriton, altrove ancora. Sulla scia del re di Francia e di Inghilterra, in Scozia gli Ospitalieri di San Giovanni riuscirono a mettere le mani solo sulle terre di Torpichen. In Spagna, i re si servirono largamente dei domini, prima di restituire all’Ospedale quello che gli spettava. La Boemia e i principati italiani si dimostrarono più discreti. Anche a Cipro, gli Ospitalieri di San Giovanni non ebbero alcun problema a ricevere le terre confiscate.
L’Ordine fu ufficialmente soppresso con la bolla Vox in excelso del 3 aprile 1312 ed i suoi beni trasferiti ai Cavalieri Ospitalieri il 2 maggio seguente (bolla Ad providam). Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro dell’Ordine, il quale in un primo momento aveva confermato le accuse, le ritrattò spinto da un’ultima fiammata di orgoglio e dignità, venendo arso sul rogo assieme a Geoffrey de Charnay il 18 marzo 1314 davanti alla cattedrale di Parigi, sull’isola della Senna detta dei giudei.
Filippo il Bello, distrusse il sistema bancario dei templari, e, benché una bolla papale avesse trasferito tutti gli averi dei Tempari agli Ospitalieri, riuscì ad addurre a sè parte del tesoro. Questi eventi e le originali operazioni bancarie dei templari sui beni depositati, che furono improvvisamente mobilitati, costituirono due dei molti passaggi verso un sistema di stampo militare per riprendere il controllo delle finanze europee, rimuovendo questo potere dalle mani della Chiesa. L’eredità di alcuni Templari consistette anche in titoli di pensioni rilasciati dal papa, pagabili sulle terre, per cui detti oneri transitarono nei diritti dell’Ospedale che si trovò costretto a pagare detti titoli sui suoi nuovi domini. In un primo momento il Gran Maestro eccepì tal pagamento, ponendo un netto rifiuto, ma poi dovette acconsentire. Alcuni Templari ripresero la vita di tutti i giorni e si sposarono. Tutto sommato, gli Ospitalieri di San Giovanni si tirarono fuori da questo episodio vergognoso, con dignità. Si formarono dei nuovi priorati dell’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni, grazie alle donazioni; le perdite dei regni oltremare non sembrarono averli frenati.
E’ verso questo periodo che viene fondato il grande priorato d’Aquitania a Poitiers e quello di Champagne, a Dijon. La lingua del Portogallo venne creata nel 1310. Il priorato di Catalogna venne fondato verso il 1319; quello di Dacia, che comprese i paesi scandinavi, sorse agli inizi del XIV secolo.
Poco a poco si andò precisando la portata dei diritti del Gran Maestro. In Palestina, il suo ruolo militare apparve eccelso, in quanto amministratore e anche diplomatico. Da questo momento Egli acquisì una grande indipendenza, tanto da permettergli di incontrarsi spesso e a discutere con il Papa ed il re, nei territori di Occidente. Tutto il funzionamento dell’Ordine venne gestito dal Consiglio, che rappresentò una sorta di Parlamento che assistette il Sovrano Gran Maestro. Il fatto di essersi stabiliti a Cipro, come conseguenza della sconfitta in Palestina, presentò dei seri inconvenienti. Infatti, la collocazione di Limisso sulla costa a sud risultò una esposizione sfavorevole, poiché oggetto delle razzie egiziane. Durante molti mesi, l’Ordine si interrogò sulla missione che ormai gli era stata assegnata. Il soggiorno a Cipro divenne intollerabile. I rapporti con il Re peggiorarono. L’isola era troppo piccola per ospitare sia il sovrano che l’Ordine.

  • Capitolo XI

Carlo V e gli Ospitalieri. Concessione di Malta, Gozo e Tripoli

Carlo V intuì l’importanza degli Ospitalieri e confidò nella speranza di riuscire ad attirarli nella sua orbita. Il progetto di una riconquista di Rodi non lo interessava, anzi, lo inquietava abbastanza. Al contrario, offrì al Grande Maestro un’isola più vicina e qualche territorio: Malta, Gozo e le terre che circondavano Tripoli. Il suo scopo fu chiaro: affidare all’Ordine la difesa dei confini marittimi ad est della Spagna. Il Gran Maestro lo ringraziò con cortesia, ma senza entusiasmo. A Malta gli Ospitalieri incontrarono grandi inconvenienti e poche attrattive. La tappa successiva del Gran Maestro fu l’Inghilterra. Il 28 gennaio 1526, Egli scrisse a re Enrico VIII, il quale aveva ottenuto delle garanzie dalla regina del Portogallo, in merito alla reistallazione dell’Ordine nei suoi domini, così Egli chiese al re di fare lo stesso. Il Gran Maestro, decise di recarsi personalmente in Inghilterra. Il Papa scrisse a Wolsey, informandolo della partenza del Gran Maestro per Calai, con l’obiettivo di ottenere del denaro, e chiese il suo appoggio, poiché era nuovamente interdetto dall’esportare capitali dall’Inghilterra.
Nel 1528, il Gran Maestro arrivò in Inghilterra: incontrò il re, Wolsey, il grande Priore, Sir William Weston, uno dei difensori di Rodi, e ottenne che le misure di confisca venissero applicate. Pose qualche vaga domanda in merito a un possibile stanziamento nell’isola di Wight: idea curiosa, vista la distanza, per fare la guerra ai Turchi. Il 2 giugno 1528, William Gonson annunciò al re che aveva accompagnato il Gran Maestro a Bologna, rendendogli tutti gli omaggi dovuti… e reclamando il rimborso delle spese. Il 7 agosto 1528, L’Isle-Adam ringraziò Wolsey, per l’accoglienza avuta in Inghilterra. A Parigi, incontrò Francesco I, rientrato dalla Spagna: colloquio breve e difficile da ottenere. In seguito partì per Nizza, dove l’Ordine possedeva una Commenda (ordine cavalleresco). Il Gran Maestro, dopo il suo ritorno a Viterbo, cercò in tutti i modi di negoziare per ottenere un territorio indipendente. Si parlò successivamente di Minorca, dell’isola d’Elba, delle isole Hyères, di Cerigo, l’antica Citera che apparteneva a Venezia. Si discusse, ma non si avanzò di molto, in quanto pochi sovrani si preoccuparono realmente della sorte dell’Ordine. La situazione politica si presentò oscura, quella religiosa si complicò di giorno in giorno. Il Gran Maestro capì che giungla fosse l’Europa, dove le trattative si presentarono spinose e pericolose al pari di quelle con l’Impero Ottomano. Finalmente, di fronte all’impossibiltà di trovare di meglio, accettò l’offerta che Carlo V gli rinnovò: Malta, Gozo, Tripoli. L’atto venne firmato il 24 marzo 1530 (l’originale si trova negli archivi a La Valletta, a Malta: “… senza essere obbligati ad altro, se non che a donare tutti gli anni, il giorno di Ognissanti, un falco… in segno che essi riconoscano che le suddette isole sono occupate in feudo, da noi”).

La Riforma e l’Ordine

Sorse una nuova complicazione, che diede all’Ordine un terribile colpo: la Riforma. Tra il 1520 e il 1530, l’Ordine cominciò a perdere la posizione privilegiata precedentemente acquista. L’Ordine registrò gravi perdite e le condizioni materiali mutarono.La Scandinavia, da molto tempo, manifestava una pessima vocazione secolare e non religiosa. Il passaggio di tre regni alla Riforma di Lutero liquidò la parte materiale con conseguente soppressione degli Ordini Cavallereschi della Dacia.
Dopo la rivolta contro la Spagna, condotta da Guillame de Nassau, si arrivò alla perdita degli Ordini Cavallereschi dei Paesi Bassi,. In Germania e in Svizzera, una serie di domini – situati nei paesi votati alla riforma – furono laicizzati. All’interno dell’organizzazione dei Cavalieri Francesi, l’influenza della Riforma si fece sentire; molti accolsero la nuova religione (protestantesimo): Robert de Porcellet, Jean-Jacque de Goulaine, e altri ancora. Invece, l’orientamento del grande balivo di Brandebourg scivolò verso i principi tedeschi. Tale situazione diventò un problema rilevante della politica internazionale, poichè doveva regolare solo i trattati di Augusta e di Vestfalia. Parallelamente all’evoluzione tedesca, un cambiamento si produsse in Svizzera. Nel 1522 presso l’Ordine Cavalleresco di Bubikon, presso Zurigo, sedette come Priore lo storiografo Johann Stumpf. Egli abbracciò la riforma nel 1525, divenne l’amico, il discepolo, e in seguito il biografo di Zwingli. Portò e assicurò il culto protestante a Bubikon e al cantone di Zurigo, operò la laicizzazione nei domini dell’Ordine – al quale rese Bubikon, a condizione che i beni fossero amministrati dai coloni protestanti. La stessa soluzione si promise di adottare in Alsazia, esattamente a Mulhouse e Colmar, dove la Commenda d’Alsazia deteneva i domini, che passarono alla Riforma. Nel 1565 i Cavalieri, guidati dal Gran Maestro fra’ Jean de la Vallette (che dette il nome alla capitale dell’isola di Malta, Valletta), difesero l’isola dall’attacco e dal Grande Assedio Turco (durato oltre tre mesi). La flotta dell’Ordine, considerata una delle più potenti del Mediterraneo, contribuì alla distruzione definitiva della potenza navale degli Ottomani nella battaglia di Lepanto del 1571. L’isola di Malta divenne una base inattaccabile sino al 1798, allorquando Napoleone Bonaparte, impegnato nella campagna d’Egitto, riuscì ad espugnarla e a impadronirsi di tutti i beni dell’Ordine. La vittoria di Bonaparte fu possibile perché i Cavalieri, a causa della Regola dell’Ordine, non poterono alzare le armi contro altri cristiani. Nel 1800 gli Inglesi occuparono Malta, ma malgrado fossero riconosciuti i diritti sovrani dell’Ordine su Malta con il Trattato di Amiens (1802), l’Ordine non potè più ritornare a Malta.

Tra i luoghi più caratteristici di Roma, è certamente da annoverarsi la famosa piazza del Grillo e la casa dei Cavalieri di Rodi, sede del Priorato dell’Ordine Ospitaliero di S. Giovanni in Gerusalemme,o Giovanniti (da non confondersi con i Templari). Quest’ordine venne fondato alla fine dell’XI secolo per la difesa del Santo Sepolcro, un pò come i Templari, dei quali finì per incamerare i beni, tra i quali i possedimenti che costoro avevano sull’Aventino. I Cavalieri di S. Giovanni si installarono nell’emiciclo settentrionale del Foro di Augusto alla fine del XII secolo, sopraelevando le costruzioni romane. Per un pò di tempo convissero con i Basiliani, venuti a Roma dalla Sicilia nel IX secolo per sfuggire ai Saraceni. I Basiliani avevano occupato una cella del tempio di Marte Ultore (cioè vendicatore, fatto costruire da Ottaviano) e vi avevano ricavato una chiesa ed un monastero dedicati entrambi a S. Basilio. La chiesa era detta “in scala mortuorum”, in una bolla papale del 995, e se ne sono scoperti i resti nel Foro di Augusto (cripta mortuaria, ricavata dal basamento del tempio di Marte Ultore e parte delle strutture murarie). La chiesa di S. Basilio era in laterizio, illuminata da piccole finestre arcuate. Nel XII secolo fu dotata di un piccolo campanile che poggiava sui resti del colonnato e che fu demolito perché pericolante, nel 1839. Nel XIV secolo la sede del Priorato fu trasferita all’Aventino. Nel 1466 papa Paolo II affidò l’amministrazione del Priorato al card. Marco Barbo, suo nipote (il nepotismo, nella nostra città, è cosa molto antica), che sostanzialmente diede alla casa dell’Ordine ed alla chiesa l’aspetto attualmente visibile. Alla fine del secolo i Cavalieri tornarono definitivamente all’Aventino e cedettero casa e chiesa, in locazione, ad un mercante di legname, tal Marcantonio Cosciari, che fece affrescare un vano dell’ex monastero con una Crocifissione. Nel 1566 Pio V cedette il complesso all’Istituto delle Neofite Domenicane della SS. Annunziata, sorto nel 1542 e protetto da Giulia Colonna. Questo Istituto accoglieva le convertite dalla religione ebraica che intendevano abbracciare la vita religiosa e che erano accettate con difficoltà dagli altri Ordini tradizionali. In seguito questo complesso fu definitivamente demolito. Il portale della chiesa dell’Annunziata è tuttora esistente: due colonne ioniche con timpano spezzato in cui è inserito il bassorilievo con l’Annunciazione. Tuttora sono anche visibili le bifore che davano luce all’interno e che risalgono all’intervento dei cavalieri di Rodi.

  • Capitolo XII

Enrico VIII e la Confisca dei Beni dell’Ordine – Malta

In Inghilterra, la situazione dell’Ordine si deteriorò rapidamente.
Enrico VIII, malgrado le promesse fatte al Gran Maestro dell’Ordine, si impadronì dei beni dell’Ordine, la situazione del re nei riguardi di Roma si era, infatti, inasprita. Nel 1540, l’Ordine venne soppresso da un atto del Parlamento, per aver rifiutato il suo diritto feudale al re, in quanto capo della Chiesa Anglicana. I beni furono confiscati e il giorno in cui la misura entrò in vigore, il Grande Priore Sir William Weston morì, senza dubbio per il dispiacere. Alcuni Cavalieri furono mandati a Calais come servi, contrariamente agli Istituti dell’Ordine. Cinque fra loro, fra cui Sir Adrian Fortescue, Sir Thomas Dingley e Sir David Gunstone, furono giustiziati con l’accusa di lesa maestà, per avere rifiutato di riconoscere la supremazia religiosa del re. Sir Adrian Fortesque immediatamente dopo fu beatificato. Non fu Cavaliere professo essendo stato sposato, per ben due volte. Molti Cavalieri partirono per Malta. Anche in Inghilterra, i beni dell’Ordine, come quelli delle abbazie, furono venduti o regalati. Nel 1560 la regina Elisabetta confiscò i beni dell’Ordine, senza tuttavia sopprimerli. In Scozia, la situazione dell’Ordine, anche se si trattava di un regno indipendente, si presentò analoga. Dal 1547 il Grande Priore di Scozia, Sir James Sandilands, aderì alla Riforma. Così, nel momento in cui l’Ordine, senza molto entusiasmo, accettò il dono di Carlo V, la posizione dell’Ordine non era rassicurante.

Malta sotto i Normanni, poi sotto il Dominio di Carlo V

MALTA, comparata a Rodi, si trovò lontana dall’essere un luogo d’elezione: l’isola era uno strano posto di incroci di razze e di civilizzazioni, fra loro, ai margini estremi.
Nel 1091, l’isola di Malta fu riconquistata da Roger de Hauteville, uno dei principi normanni di Sicilia e, da quel momento, Malta e il suo arcipelago seguirono la sorte della grande isola. Essa passò successivamente sotto il dominio dei Guiscard, degli Hofenstauffen, degli Angevins, degli Aragonesi. Per il tramite di questa strada Carlo V se ne ritrovò il dominio nel 1530. Le risorse dell’isola arrivavano prettamente dal mare, essendo i Maltesi marinai, pescatori e anche pirati. Malta costiutì un blocco calcareo dorato, intagliato di bacini naturali,di baie, di calanche. Il grande bacino a nord dell’isola, uno dei più belli del Mediterraneo risultò quello che determinò la vita dell’Ordine. Al di fuori di questo doppio porto a forma di foglia di platano, una serie di baie offrirono buoni ormeggi, ben riparati dai venti che soffiavano incessantemente intorno all’isola. Il clima appariva mite, umido. L’isola presentava un’umidità tale da escludere il freddo. Al momento in cui l’Ordine ci si stanziò, la sola città importante era la capitale: Mdina, Città Notabile, al centro dell’isola, posta sull’altopiano. Nel 1530, l’isola era poco popolata: contava poco più di 30.000 abitanti. Questa era la cornice nella quale si stava andando ad integrare la vita dell’Ordine.

L’Ordine sotto la Guida di Philipe De Villiers di l’Isle-Adam

Il 26 ottobre 1530, il 42° Gran Maestro, Philipe de Villiers di L’Isle-Adam, approdò al Bourg con i Cavalieri, su delle navi di cui alcune – la grande Caraque in particolare – avevano assicurato l’evacuazione di Rodi. Essi portarono qualche ricordo di Rodi: la figura di prua di San Giovanni Battista, l’icona di Notre-Dame di Philermos, un piccolo organo d’oro e dipinto, diversi oggetti d’arte delle chiese e delle locande.
Il Grande Maestro e i dignitari furono accolti solennemente dalle figure ufficiali maltesi, ricevettero il loro giuramento di fedeltà e da subito studiarono la situazione. La situazione di Malta, nel cuore del Mediterraneo, sembrava primordiale. Una marina potente installata a Malta poteva ostacolare in maniera temibile le incursioni dei turchi e dei barbari. Ma ci voleva una squadra importante e ben armata e una base su terra molto potente, con un enorme sistema di difesa.
Gozo, piccola isola a nord est di Malta, rappresentò un pericolo piuttosto che un appoggio: c’erano pochi porti e bisognava fortificarla per evitare che cadesse nelle mani del nemico o che fungesse da base per uno sbarco. Tripoli non poteva essere che una fonte di seccature per i monaci. La vita era abbastanza lontana da Malta, alle sponde di un entroterra sterile e ostile. Non era che un’inquietante testa di ponte.
Si presentò un’altra possibilità. Villiers di L’iIsle-Adam non aveva mai pensato che Rodi fosse persa in maniera definitiva. Sperava sempre di poter rientrare da vincitore nella sua antica fortezza. Non era che una chimera. Bisognò sistemare l’Ordine. Una città si impose, Birgu, che dominava il porto ed era protetta dalle tre antiche fortezze. Si eressero le locande delle diverse lingue, il palazzo del Gran Maestro. Le costruzioni non molto vaste contarono in tutto 300 Cavalieri e un centinaio di servi d’armi, cappellani conventuali. I forti furono ristrutturati, le fortificazioni ampliate e rinforzate. Nell’isola, l’Ordine decise di imporsi su tutta l’amministrazione, cosa che non avvenne senza creare delle violente frizioni con i Maltesi. I Maltesi sostennero che la loro cessione all’Ordine era contraria ai privilegi che Carlo V gli aveva solennemente giurato. In più, la vicinanza dell’Ordine ed il numero dei Cavalieri rese il governo molto più oppressivo nei confronti dei Maltesi rispetto al lontano dominio della Spagna. In compenso, l’approvvigionamento dell’isola si rivelò molto più regolare riguardo al passato. Dal punto di vista commerciale, l’arrivo dei Cavalieri apportò un notevole miglioramento. Ad ogni modo, l’Ordine tentò di imporsi come sovrano e non come vassallo del re d’Aragona. Sperando di riprendere Rodi, l’Ordine ricominciò ad imporre la presenza della sua flotta nel vicino Oriente. Dal 1532, la Grande Caraque fece la corsa nelle acque turche, in compagnia delle navi di Cipro. L’Ordine fece un tentativo per sbarcare a Modon e, si pensò che in caso di vittoria, si potesse stanziare nella città conquistata, dalla cui postazione avrebbe potuto colpire in fretta e con colposicuro. Ma, dopo un inizio folgorante, lo sbarco si incagliò e occorse tutto il talento militare dell’Ordine per operare il ritiro. Per il momento fu la fine delle imprese presso le coste della Grecia. Ma il ricordo di Rodi assillò lo spirito di Villiers di L’Isle-Adam fino alla sua morte.Morì nel 1534 e venne sotterrato a San Lorenzo in Malta. Sulla lapide si scrisse: QUI RIPOSA LA VITTORIOSA VIRTU’ DELLA FORTUNA.

  • Capitolo XIII

L’Ordine di Malta

Dopo il 1492 le isole e le coste del Mediterraneo divennero il rifugio di centinaia di migliaia di mori, cacciati dopo l’unificazione della Spagna da Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia. La politica spietata dei “re cattolicissimi” contro i moriscos contribuì alla fondazione di veri e propri stati barbareschi, che trovarono nei pirati e corsari dei leader spregiudicati e intelligenti, strenui oppositori degli spagnoli. Essi si spinsero nel Mediterraneo, effettuando sbarchi e saccheggi lungo le sue coste. I nomi dei pirati che terrorizzavano le popolazioni del Gargano sono ancora vivi nell’immaginario collettivo dei paesi di mare. Fra i più noti vi fu appunto Kair ad-Din (1475–1546), detto il Barbarossa. L’Ordine, appena installato a Malta, dovette riprendere la lotta. L’avversario principale fu proprio il Barbarossa, re di Algeri, poi di Tunisi nel 1534: uomo estremamente pericoloso, dotato di un’energia invincibile. Nel 1534, Barbarossa irruppe sulle coste d’Italia e tentò di rapire Giulia di Gonzaga in Fondi nei pressi di Napoli. Poiché Giulia era appena fuggita, Barbarossa si vendicò saccheggiando la città.Nel 1534, il 43° Gran Maestro , Piero del Monte, che fu il successore di L’Isle-Adam, morì, al suo posto venne eletto Didier de Saint-Jaille, un francese che, però, morì nel 1535 prima di raggiungere Malta.
Nel 1535, una nuova elezione designò in Spagna, Juan d’Homédès, come 45° Gran Maestro dell’Ordine.Le imprese dell’Ordine non ebbero più rallentamenti. Sull’altra riva, Barbarossa attaccò di nuovo. Nel 1541, Carlo V decise di attaccare Algeri e chiese nuovamente l’aiuto dell’Ordine. Tutti gli esperti, in particolare Andrea Doria, raccomandarono di avviare la partenza in estate. Invece, ci si imbarcò verso la fine di ottobre del 1541, in un periodo di tempeste e di burrasche. Lo sbarco ebbe luogo nelle peggiori condizioni. Le truppe italiane vennero sconfitte e tutti gli oneri dell’attacco gravarono sul comando di Malta. I Cavalieri dovettero combattere uno contro dieci e anche di più. In quel momento si scatenò una furiosa tempesta che affondò numerosi vascelli, in particolare quello su cui si trovavano gli archivi di Carlo V. Finalmente, vedendo il fallimento dell’operazione, Carlo V ordinò la ritirata. Delle quattro galere di Malta, tre risultarono in pessime condizioni ed ebbero maggiore difficoltà a raggiungere l’isola sotto la tempesta.

JUAN D’HOMEDES Y COSCON CONTRO LE INCURSIONI DEI CORSARI TURCHI.
Uno dei Cavalieri che prese parte all’attacco di Algeri, il francese Villegagnon, ferito nell’impresa, non potè rientrare a Malta. Difatti, egli partì verso Roma per farsi curare, dove intraprese con l’ambasciatore di Francia, il Cardinale du Bellay, una furiosa diatriba in un latino impeccabile, esponendo i punti di vista dell’Ordine sull’operazione fallita: d’Homédès secondo lui, rappresentò un personaggio dubbio, avaro e interessato, per cui l’Ordine lo accusò di essersi appropriato dei fondi che sarebbero dovuti servire all’armamento.
Juan de Homedes y Coscon -prima del 1536 – 1553 – , conosciuto anche col nome di Jean de Homedes, fu Gran Maestro dell’Ordine di Malta dal 1536 al 1553.Di origini spagnole, durante il suo regno tese a consolidare il potere dell’Ordine su Malta costruendo nuove fortificazioni per difendere l’isola dai continui attacchi dei corsari turchi provenienti dalle coste berbere della Tunisia.Ad ogni modo, fu sotto il suo regno che, nel 1551, i cavalieri persero la loro fortezza nordafricana di Tripoli in favore degli ottomani, comandati dal famoso Capitano corsaro Turgut Reis (Dragut) e dall’Ammiraglio arabo Sinan. Homedes addossò la colpa al Governatore militare di Tripoli, Gaspard de Vallier, che venne deposto ed imprigionato. De Vallier venne in seguito riabilitato dal Gran Maestro Jean Parisot de la Valette. Il Gran Maestro, d’Homédès, aveva anche mostrato la più completa indifferenza alle proteste dei Cavalieri e rifiutato di far fortificare l’Isola di Gozo. Gozo fu razziata da Dragut,l’ammiraglio turco che divenne uno dei più furiosi avversari dell’Ordine.

DRAGUT – O TURGHUT REIS, DORGHUT RAIS, TURHUD RAIS, DARGUT.
Suo vero nome era in realtà Turghud ‘Alì (Bodrum, Turchia, 1485 ca – Gozo, Malta, 25 giugno ca 1565), fu un comandante navale ottomano e successore di Khayr al-Din Barbarossa.Viceré di Algeri, Signore di Tripoli e di al-Mahdiyya, si fece chiamare Spada vendicatrice dell’Islam e fu spesso lo spietato protagonista di credenze popolari, romanzi e film.È ricordato anche per essere stato uno dei pochi ammiragli di ceppo turco, a differenza dei tanti europei catturati e poi convertiti, che divennero ammiragli della flotta Ottomana. D’Homédès rifiutò anche di far evacuare le donne e i bambini, tanto che la popolazione fu ridotta in schiavitù. I Barbari, sotto il comando di Barbarossa, condussero un’incessante guerra di corsa nel Mediterraneo, saccheggiando Nizza, l’isola d’Elba, Ischia, quindi si pensò che il turno di Malta fosse vicino. La situazione dei Cavalieri a Tripoli si fece insostenibile. Domandarono aiuto e assistenza a Carlo V. Dopo i soccorsi inviati a Malta, a Tunisi e a Algeri, si sperò che fossero inviati armamenti e rinforzi anche a Tripoli: ma ciò non avvenne. Successivamente, la guarnigione si rifiutò di prolungare la difesa e la popolazione acclamò a gran voce i Turchi. La venuta dei Turchi fece capitolare i Cavalieri a pessime condizioni sotto la minaccia della squadra di Dragut.

  • Capitolo XIII

L’Ordine di Malta

Di ritorno a Malta, i superstiti di Tripoli denunciarono ancora una volta, con una maggiore violenza, l’incuria del Gran Maestro d’Homédès. Non aveva fatto nulla per andare in soccorso alla guarnigione sacrificata e continuò la sua politica di immobilismo. Villegagnon, il quale si era unito ai suoi fratelli Cavalieri per la difesa di Tripoli, scrisse una lettera vendicatrice contro d’Homédès, che fu largamente diffusa. Dopo questo scandalo, il soggiorno a Malta non fu più raccomandato: e così partì. Nel 1548, Villegagnon racatosi in Scozia, divenne comandante della “Réale”, per cui portò alcune truppe alla reggente Marie de Guise e che riportò in Francia, la piccola regina Mary, fidanzata con il delfino Francese. Tornò di nuovo in Scozia e si battè attorno a Edimburgo e Haddington. In seguito, il cavaliere Villegagnon intraprese altre bravate in diversi paesi e anche in America del Sud. Finalmente integrò l’Ordine di Malta, senza tuttavia ritornare nell’isola. D’Homédès morì nel 1553. Si constatò che la maggior parte dei beni andarono a carico dei suoi nipoti spagnoli, tanto che l’Ordine non ricevette nulla. Tale circostanza portò al quasi rifiuto di un funerale ufficiale.

Claude De La Sengle e Filippo II Re di Spagna

Nel 1556, sotto il 46° Gran Maestro, Claude de La Sengle, Filippo II diede mandato ad un ambasciatore per tentare in tutti i modi di rafforzare i legami che univano l’Ordine in Malta alla Spagna. L’ambasciatore, dopo aver mandato le sue condoglianze al Grande Maestro, per le perdite subite (Rodi e Tripoli), offrì in compenso il territorio di Mahédia (porto sulla costa orientale della Tunisia, 175 km a sud della città di Tunisi su una stretta penisola, con una massiccia, più prorompenti pareti, una volta famoso rovine della vecchia moschea costruita. Città di antichi siti come il primo Fatimovcem Obeidem Allah El Mahdim in una splendida residenza che è stata costruita nel 1145 da Roger re di Sicilia. Fu conquistata nel 1551 da Carlo V), recentemente conquistato dalla Spagna.
Claude de la Sengle (1494 – 18 agosto 1557) fu Gran Maestro dell’Ordine di Malta dall’11 settembre 1553 sino alla propria morte. Suo successore sarà il famoso Jean Parisot de la Valette. Nativo francese, de la Sengle, divenne Balì della Langue d’Aubusson e venne coinvolto numerose volte nelle battaglie dei corsari turchi e del Capitano corsaro Targut Reis nel Mar Mediterraneo e nel nordafrica, e specialmente negli assedi di Djerba e Tripoli.De la Sengle apportò un considerevole impatto all’assetto militare di Malta, notabile in particolare dal 1554 con lo sviluppo della città di Senglea, che da lui prese il nome e che ottenne di poter portare il suo stemma come gonfalone cittadino.
Egli ingrandì anche il Forte San Michele con grandi bastioni e completò il Forte di Sant’Elmo, iniziato dal suo predecessore, Juan de Homedes.De la Sengle morì a Notabile il 18 agosto 1557 e venne sepolto nella cappella del Forte Sant’Angelo. Il suo cuore venne sepolto nella Chiesa dell’Annunciazione, presso Rabat, sull’Isola di Malta.
Il Gran Maestro mandò una commissione a studiare la questione sul posto. Il rapporto fu netto: il territorio era ricco, prosperoso e bagnato positivamente dal mare. Probabilmente qualche vantaggio poteva derivarne dal territorio di Mahèdia, benché posta in territorio nemico. Al fine di poterne conservare l’uitlizzo di detto porto, l”Ordine avrebbe dovuto impiegare al massimo l’insieme delle sue forze militari, rinunciando a tutti gli altri obiettivi”.
Ciò apparve di scrasa attuazione ed il Gran Maestro de La Sengle rifiutò l’offerta del re di Spagna. Invece, nel 1560, Egli si lasciò coinvolgere da Filippo II ed accettò di partecipare all’attacco dell’isola di Gerba. Riuscirono a impadronirsi della fortezza dell’isola, ma una tempesta distrusse una serie di navi, nel mentre Dragut arrivò davanti a Gerba ed assediò il castello da aprile a luglio, fin quando ne prese pieno possesso, malgrado un’eroica resistenza.
L’effetto morale fu considerevole. I Turchi, dopo tante vittoriose battaglie sull’Ordine, nutrivano la certezza che l’antica potenza militare dello setsso Ordine non avrebbe sopravvissuto al primo assedio, per tale ragione la caduta di Malta si appalesò prossima. Difatti, una squadra potente, senza molte difficoltà, avrebbe aperto ai Turchi l’accesso al Mediterraneo occidentale.
Altri elementi resero una simile conclusione, sempre più verosimile: un terremoto danneggiò le nuove fortificazioni; diverse epidemie di peste si abbatterono sull’isola di Malta. Inoltre, un inverno, un uragano distrussero Malta, inabissando, tra l’altro, molti vascelli ormeggiati nel porto. Una galera fu distrutta e solo uno scafo rimase a far da traino ad alcuni cavalieri, vivi per miracolo: uno dei due era il Cavaliere Mathurin d’Aulux de Lascout-Romegas, quale marinaio dell’ “ordine nel XVI secolo”.
Quest’ultimo già da molti anni faceva il pirata ed era la bestia nera dei Barbari. Quando arrivarono, infine, ai superstiti, dopo aver aperto una breccia nello scafo, il primo che uscì da questa tomba marina fu una scimmia, la mascotte della nave.
Fra il 1577 e il 1578, Enrico VIII, Francesco I e Carlo V, morirono a qualche settimana di distanza. L’imperatore abdicò dopo un anno e si ritirò nel monastero di Yuste. Nel 1557 morì anche il 46° Gran Maestro Claude de La Sengle. A Malta si intuì come la situazione fosse tra le più gravi. Filippo II vide agitarsi la rivolta nelle Fiandre, peraltro a corto di denaro, il suo matrimonio con Mary Tudor, senza figli, si rivelò una costosa avventura senza futuro.
Alla regina Mary d’Inghilterra dovette succedere sua sorella più giovane, Elisabetta, che non mancò di ritornare al pensiero religioso in seno alla Riforma con l’intera Inghilterra. Intanto, la Francia si posizionò ad un passo dalla guerra civile. Il Papa, non essendo direttamente minacciato , si disinteressò della sorte di Malta. Mentre Venezia e Genova manifestarono ostilità all’Ordine.
Peraltro, l’appello al concilio di Trento, presentato da Villegagnon, sortì una compita indifferenza. Barbarossa morì, ma una serie di temibili corsari percorsero il Mediterraneo: Dragut, Louch-Alì, Mustapha Turchi, Arabi e rinnegati che ritennero che era giunta l’ora di mettere fine alla resistenza dell’Ordine.

  • Capitolo XIII

L’Ordine di Malta

Nel 1557 dunque, di fronte al pericolo crescente, i Cavalieri capirono che bisognava mettere un limite alla abitudine di eleggere in qualità di Gran Maestro personaggi insignificanti, per evitare di dover subire le imprese e le volontà di personalità troppo forte, messa a capo del Consiglio. Dunque, quasi all’unanimità, venne eletto JEAN PARISOT DE LA VALLETTA, come 47° Grande Maestro.
Jean Parisot de la Valette (Parisot, 1494 – Malta, 21 agosto 1568) è stato un condottiero francese, gran maestro dei Cavalieri di Malta. Nato in Provenza, entrò nell’Ordine dei Cavalieri di Malta e vi combatté i Turchi, dai quali venne fatto prigioniero e messo ai remi su una galea. Successivamente liberato, fece carriera fino a diventare Gran Maestro, la carica più alta dell’Ordine. Uomo di eccezionale energia, di lui si diceva che fosse capace “di governare un regno o di convertire un protestante”. Da gran maestro, La Valette fu protagonista dell’assedio di Malta del 1565, quando l’isola venne assalita da una grande flotta turca: egli organizzò e diresse la resistenza, imponendo la tattica della difesa a oltranza di tutti i capisaldi, e partecipò di persona a diversi combattimenti, nonostante avesse ormai settantun anni. In questo modo, nonostante la gravissima inferiorità numerica, i cavalieri di Malta resistettero per ben quattro mesi: infine, il 6 settembre, quando ormai entrambi i contendenti erano stremati, una flotta di soccorso spagnola sbarcò e mise i Turchi in fuga. Per ricompensarlo della vittoria, il Papa offrì a La Valette il titolo di cardinale, ma egli declinò l’offerta, ritenendo che il combattere fosse un’occupazione inadatta a un principe della Chiesa. Il re di Spagna Filippo II invece gli inviò in dono una spada preziosa, con una dedica incisa sulla lama. La Valette iniziò quindi la ricostruzione dell’isola, semidistrutta dall’assedio, e fondò quella che divenne la nuova capitale di Malta, che in suo onore fu chiamata humilissima civitas Valettae (“l’umilissima città di La Valette”), oggi La Valletta. Mentre dirigeva i lavori, nel 1568 venne colpito da un’insolazione che lo portò alla morte. Fu sepolto con tutti gli onori nella cattedrale di San Giovanni, dove il suo corpo si trova tuttora.
A 69 anni , dopo un’intera vita passata a battersi su terra e su mare, il nuovo Grande Maestro, rappresentò l’elemento migliore all’interno dell’Ordine, per poter tener testa al nemico.
Brantôme, che l’aveva conosciuto bene, lo descrisse così: “Monsieur il Grande Maestro Parisot è stato un grande capitano; ne aveva tutte le qualità. Oltre al suo valore e al suo coraggio, era un gran bell’uomo, robusto,di bell’aspetto e bei modi, parlava molto bene diverse lingue,come il francese, l’italiano, lo spagnolo, il greco, l’arabo e il turco, che aveva imparato quando fu fatto schiavo dai turchi. L’ho visto parlare tutte queste lingue senza alcun interprete”.
Vi lascio pensare come, con tutte queste belle qualità, quando il gran maestro La Valletta si trovò in presenza di tutti i grandi principi da persuadere, fu in grado di esprimersi al meglio.
Balbi di Corregio, che servirà Malta durante l’assedio, scrisse sul Gran Maestro La Valletta: “Era grande e benfatto , di grande portamento e portò bene la sua carica di Grande Maestro. Il suo carattere era piuttosto triste, ma per la sua età è forte e robusto. E’ molto devoto, dotato di buona memoria, di grande saggezza e di intelligenza. Ha accumulato molta esperienza su terra e mare, nel corso della sua carriera. E’ moderato paziente e conosce numerose lingue. E’ ben visto da tutti i principi cristiani”.
Il nuovo Gran Maestro passò tutta la carriera sotto l’abito di Malta. Egli prese la croce nel 1515 a 19 anni e partì per Rodi e partecipò all’assedio del 1522 , seguendo l’Isle-Adam in Italia, e successivamente a Malta. Si distinse come uno dei più eccellenti capitani di galere e, catturato durante il naufragio di Saint-Jean nel 1544 stette per un anno schiavo dei turchi.
Il Gran Maestro La Valletta ebbe uno stato maggiore di uomini di gran classe, capaci di affiancarlo nel corso degli oscuri momenti che stavano iniziando. Fra questi, si trovò Mathurin d’Aux de Lescout-Romegas. Aveva per collega il Commendatore di Saint-Aubin, un altro grande marinaio, appassionato di combattimenti e di avventure.
Romegas, che nel 1560 segnalò il massiccio armamento dei turchi, apparì un ottimo organizzatore delle incursioni della cavalleria.
La Valletta ebbe al proprio fianco anche uno degli ultimi Cavalieri inglesi, Sir Oliver Starkey, suo segretario latino – originario del Cheshire, perente di Hugh e di Sir Thomas Starkey, di cui il primo era gentiluomo ufficiale giudiziario di Enrico VIII e il secondo, erudito e teologo – quest’ultimo fu uno dei consiglieri del re all’epoca del suo divorzio. Il Gran Maestro aveva ancora, presso il Commendatore di Mas, il quale si era battuto a Gerba, i suoi tre nipoti : Henri de La Valletta, il Commendatore di Cornusson e Aymar di Puy- Montbrun, Commendatore di Giou. Le truppe si aggirarono dai 500 agli 800 Cavalieri, 100 servi d’armi, 1350 soldati, 500 schiavi di galee, contingenti naturalmente poco sicuri, e un’armata di civili, all’incirca di 89000 uomini in tutto: si trattò di un contingente troppo scarso.
Il vice re di Sicilia “Don Garcia di Toledo”, agli occhi di Filippo II, apparve uno spagnolo di buona famiglia: funzionario agli ordini del più pedante dei sovrani, pur sapendo di essere interdetto a tutte le iniziative, poichè incapace di prenderne una. Uomo Lento, apatico, altezzoso, valetudinario, era terrorizzato da un sovrano misterioso e imprevedibile che non dava ordini scritti, per poter rendere sempre i suoi subordinati responsabili delle sue colpe. Lo spagnolo vice re di Sicilia, conosceva bene il Grande Maestro e andò a Malta nel marzo 1565, ci restò una giornata ed ascoltò educatamente tutte le richieste di La Valletta: aveva bisogno di soldi,di polvere da sparo, di uomini soprattutto, perché le guarnigioni erano insufficienti. Toledo, fece delle promesse, prese delle annotazioni e si imbarcò, lasciando al Gran Maestro suo figlio Federico, che aveva preso la croce a otto punte. Il Gran Maestro non contò mai molto sull’aiuto di quest’uomo apatico e ipocrita. Avendo un buon servizio di spionaggio, fu messo al corrente dei progetti del nemico. Peraltro, il senso di buona organizzazione favorì l’isola in cui non mancarono mai rifornimenti. Gli stocks di polvere da sparo, proiettili per le moschette, proiettili per i cannoni, pezzi d’artiglieria, furono sufficienti e non bisognò ricorrere a dei mezzi di fortuna come a Rodi. L’Ordine possedeva il “fuoco greco” e ne fece un uso costante, nei baluardi o in aperta campagna, utilizzando dei lancia fiamme. Utilizzarono anche dei cerchi di legno molto leggeri, imbevuti di un materiale infiammabile e lanciati accesi sul nemico. Il 10 aprile 1565, il Grande Maestro scrisse una lunga lettera al Papa, domandandogli il suo appoggio finanziario e militare. Il Grande Maestro fece appello al senso religioso del Papa e al suo amor proprio. La visita di Don Garcia di Toledo gli aveva fatto capire che aveva poco da aspettarsi dai sovrani: aveva ricevuto solamente belle parole e promesse vaghe. La Valleta fece tutto quello che fosse in suo potere. Due forti furono ben difesi, Saint- Ange e Saint-Michel. Egli diede l’ordine ai paesani di tagliare i loro raccolti e di ripiegare con il loro bestiame nelle città fortificate. Successivamente, il Grande Maestro riunì i Cavalieri in San Lorenzo presso la chiesa conventuale per un solenne servizio. Tutti esercitarono il sacramento dell’eucarestia, rinnovarono le loro promesse, si perdonarono reciprocamente le ingiurie e scambiarono il bacio di riconciliazione giurando di difendere Malta e la Croce fino alla morte. Poi si ritirarono nei posti a loro assegnati per attendere il nemico. Era l’inizio della veglia d’armi.

  • Capitolo XIV

L’assedio di Malta: Vittoria dei Cavalieri

Il grande assedio di Malta da parte dei Turchi.

Il 18 maggio 1565, si avvistarono le vele turche. Si trattò di una formidabile squadra formata da più di 200 barche, che trasportavano truppe considerevoli, all’incirca 40.000 uomini o anche di più: un numero enorme rispetto al piccolo numero dei difensori dell’isola. Il Gran Maestro fece subito partire una galea per la Sicilia, per avvertire Garcia de Toledo.Ritornò dopo tre giorni riportando degli incoraggiamenti del vicere, e niente di più. Il generale turco, Mustapha, convocò una conferenza di stato maggiore. Il reale capo della spedizione, Drogut, non era ancora arrivato, ma c’era l’ammiraglio Piali, nipote del Sultano, un uomo giovane, ottimo marinaio e Louch-Ali, che si era distinto a La Goulette, contro gli spagnoli; si attendevano Hassan, re di Algeri, il figlio di Barbarossa, e il suo tenente Candelissa, un rinnegato greco. Tutti si appalesarono ferocemente gelosi gli uni degli altri. Durante tutto l’assedio, le rivalità imperversarono. Fu questo stato d’essere che condusse all’adozione del “piano di campagna”: quale tattica non del tutto perfetta. Conquistare l’isola di Malta equivaleva a prendere Bourg. Per riuscirci bisognava però sferrare gli attacchi dal mare. Ma per battere le forze che difendevano Bourg, Saint-Ange e Saint-Michel, bisognava provare a entrare nella rada. Quest’ultima fu sbarrata dalle due fortezze incrocianti tra cui quella di forte Sant’Elme. I Turchi decisero, dunque, di attaccare senza proroga Saint-Elme. Se il forte si fosse presentato fortificato in maniera sufficiente, il compito sarebbe stato sovrumano:ma non fu così. L’Ordine non potette terminare i lavori previsti. Inoltre, in tutti i punti strategici dell’isola, le guarnigioni riusultarono poco numerose. Allora, i Turchi posizionarono alcune batterie sul monte Sceberas, leggermente più alto rispetto ai baluardi di Saint-Elme, così poterono sparare all’interno del forte. La Valletta fece rinforzare la guarnigione, inviando un centinaio di Cavalieri sotto il comando di Pierre de Massue-Vercoyran e di Gaspard de la Motte: il forte era comunque accessibile tramite la rada. Le galere non rappresentarono un utile ostacolo all’invasione, in quanto non abbastanza numerose per forzare il blocco turco. La cavalleria dell’Ordine ripiegò sulla città di Mdina, al centro dell’isola. Nel frattempo fu sempre possibile comunicare con la città. Le incursioni della cavalleria resero degli inestimabili servizi.
Dragut entrò in Malta con altri 15 vascelli, 15 000 uomini e con artiglieria da assedio. Egli inveì subito con una scena furibonda nei confronti di Mustapha, ritenendo che stava perdendo tempo a Saint-Elme, poichè avrebbe dovuto agire diversamente. Probabilmente la tesi di Dragut andava nel verso giusto, ma ormai era troppo tardi per cambiare. Tuttavia i capi turchi sostennero l’ipotesi che Saint-Elme non potesse reggere più di cinque giorni, contrariamente alla opinione di Dragut ed il fattore tempo era fondamentale: infatti questa enorme armata non poteva pensare di passare l’inverno in quest’isola sterile. Si pensò di regolare il conto con Malta prima delle tempeste autunnali, le quali avrebbero reso il rientro della flotta in Turchia estremamente incerto. Ora, queste tempeste iniziavano prima dell’equinozio, verso il 10 settembre. C’erano ancora tre mesi sufficienti per la presa completa di Malta.
Tutta l’attività si concentrò intorno a Saint-Elme, dove la situazione fu da subito molto grave. La guarnigione rastrellò a più riprese gli accessi del forte, ma le perdite furono sempre ingenti. Un bastione avanzò cadendo, sollevato da alcuni uomini spossati dalla fatica. Per un pelo, l’Ordine dei cavalieri di Malta ostacolò un comando nemico che stava per scagliarsi all’interno del forte e riuscì a fermare la sua avanzata dando fuoco ai materiali leggeri e infiammabili, di cui i turchi si erano serviti per colmare i fossati (non avendo trovato sterpaglie e bastoni, i Turchi avevano ammucchiato delle balle di lana, della stoppa, dei fagotti e delle bracciate di rovi). Tutto questo materiale prese fiamma istantaneamente sotto i getti dei lancia fuoco dei Cavalieri. Durante l’assalto, il Cavaliere Abel de Bridiers de Gartempe fu gravemente ferito. Quando venne portato via dichiarò: “Non contatemi più fra i vivi. Il vostro tempo sarà impiegato in maniera migliore si vi occuperete dei nostri fratelli.” Poi si trascinò fino alla piccola cappella del forte. Mentre il nemico fu momentaneamente respinto, alcuni Cavalieri penetrarono all’interno del santuario e trovarono Gartempe steso davanti all’altare, morto.
Ormai i giorni del forte Saint-Elme erano contati. Gli uomini, sfiniti dalla fatica e dalle ferite, erano mal nutriti. Non si lasciò il baluardo se non per morire. E tuttavia, ogni notte, a nuoto o per mezzo di piccole barche, arrivarono rinforzi, ma si trattò di 15 o 20 uomini alla volta, appena sufficienti per rimpiazzare le perdite. Ci si sforzò almeno di evacuare i feriti. Due inviati del vice re di Toledo, Salvago e Miranda, arrivarono dalla Sicilia, prima che fosse giorno pieno e raggiunsero Saint-Ange. I due suddetti inviati consegnarono al Gran Maestro un messaggio da parte di Toledo: lettera ripetitiva come quelle lettere precedenti, ossia la ben salda volontà di non intervenire. Non è facile capire l’atteggiamento del vice re, sebbene a conoscenza del disastro che poteva incombere anche per la Spagna e per lui stesso, oltre alla perdita di una squadra spagnola ingaggiata alla leggera (un grave colpo al prestigio navale spagnolo e la Sicilia in pericolo). Infatti, ventitré anni più tardi, la perdita dell’Invincibile Armada suonerà la fine della potenza navale spagnola. Purtroppo la perdita di Malta avrebbe suonato un’altra fine: quella del Mediterraneo. La Valletta replicò al Vice Re, esigendo l’invio di almeno 500 uomini: la risposta non venne data (il passaggio fra la Sicilia e Malta apparve lontano e impossibile l’accolglimento della richiesta). Salvago ripartì, Andrès de Miranda decise di restare a Malta, di condividere la sorte dei Cavalieri e si propose immediatamente come volontario per Saint-Elme. Gli ufficiali del forte Saint-Elme chiesero di poter evacuare: essi avrebbero reso dei servizi più da vivi che da morti, poiché niente poteva salvare il forte.

  • Capitolo XIV

L’assedio di Malta: Vittoria dei Cavalieri

Il grande assedio di Malta da parte dei Turchi.

La Valletta al contrario pretese la lotta ad oltranza. Cominciò, così, l’agonia del forte di Saint-Elme. Il 15 giugno 1565, La Valletta mandò suo nipote Henri de La Vallette a Toledo,portatore di una nuova lettera nella quale gli spiegò dove e come sbarcare dei rinforzi a Malta. Intanto, gli assalti turchi logorarono poco a poco gli uomini di Saint-Elme. L’Impero Ottomano sparò 13000 colpi di cannone in 18 giorni. Piccoli contingenti di nuovi Cavalieri permisero di ristabilire la posizione di Saint-Elme, considerando che i turchi si trovavano allo stremo delle forze. Bisognò dare un simile argomento per spronare il coraggio di Toledo, ma è vero anche che i turchi, se non allo stremo delle forze, fossero abbastanza provati dalla furiosa resistenza della fortezza. Il 19 giugno, La Valletta, scrisse anche al papa e chiese un aiuto immediato e sostanzioso.
Il 18 giugno, Dragut e l’aga dei giannizzeri furono colpiti da alcune schegge di roccia, staccatesi a causa di una palla di un cannone sparata nei pressi delle coste e del mare. L’aga fu colpita di sorpresa, Dragut morì qualche giorno più tardi senza aver ripreso conoscenza. Alcuni disertori riportarono la notizia a La Valletta. Pur a fronte di tale perdita irreparabile gli assalitori erano pronti per un nuovo assalto. Il 19 giugno 1565, Miranda fece sapere al Gran Maestro che la fine non era se non una questione di ore. Il forte era accerchiato, i rinforzi non arrivavano più e il prossimo assalto sarebbe stato l’ultimo. Nella notte, un soldato maltese, immergendosi e nuotando fra le due acque, portò al Gran Maestro, le notizie della lenta agonia. Al forte si seppe di non avere più speranza e ci si preparò a morire. Un ultimo ufficio fu celebrato nella piccola cappella dai due cappellani conventuali, Pierre Vigneron e Alonzo de Zambranca, seguito da un’ultima comunione. I Cavalieri si diedero il bacio di riconciliazione e in seguito distrussero gli ornamenti della cappella per evitare che fossero profanati. E la campana suonò la fine. L’assalto fu di una violenza inaudita. Miranda fu ucciso, Massue-Vercoyran e il bailli Guaras, coperti di ferite, si fecero portare alla breccia e, seduti si batterono fino alla fine. Il Cavaliere Lanfreducci accese un fuoco per far sapere a La Valletta che tutto era finito. Qualche cavaliere e qualche soldato, saltando nell’acqua all’ultimo momento, raggiunsero Bourg e raccontarono gli ultimi momenti dell’agonia.
Mustapha agì senza pietà e senza decenza. Egli fece decapitare i cadaveri di Miranda, di Guaras,del governatore e di Massue-Vercoyran, facendo impiantare le loro teste su dei picchi in vista di Saint-Ange. I feriti furono finiti con la tortura. Si cercarono i Cavalieri riconoscibili dalla loro sopravveste, ai quali Cavalieri venne aperto il petto ,strappato il cuore e inchiodati in croce su delle assi, per poi gettarli in mare, affinchè la corrente li portasse verso Saint-Ange. Al mattino, il mare rese quattro cadaveri ai piedi del forte, di cui Jean-André de Porcellet, che si riuscì con difficoltà a identificarlo; gli altri affondarono nel mare. Pare che nove Cavalieri feriti, catturati prima dell’assalto finale, fossero riusciti a riscattarsi. I cadaveri furono portati solennemente a San Lorenzo, luogo i cui si celebrò un grande ufficio mortuario. I preti celebrarono il rito non con vesti nere, ma rosse come per i martiri. Tuttavia, l’orribile dimostrazione di Mustapha, destinata a portare il terrore nell’animo dei difensori di Bourg, mancò il suo scopo. La “paga di Saint-Elme” non potè essere questione di guerra o morte. Per cominciare, La Valletta fece decapitare i prigionieri turchi e sparare le teste come dei proiettili, contro il nemico. Il gesto si appaventò talmente brutale da considerarsi al pari di quello di Mustapha. Un nuovo messaggio partì per la Sicilia, ma La Valletta non ebbe il coraggio di annunciare la notizia a colui che aveva condannato il forte per la sua lentezza. Scrisse a Mesquita, governatore portoghese di Medina, pregandolo di avvisare lui stesso Toledo. Le lettere furono recapitate in Sicilia, dal Commendatore di Cournussob, nipote del Gran Maestro.
Nel continente europeo ci si interrogò senza passione e senza fretta sulla situazione avvenuta a Malta. Solamente la regina Elisabetta di Inghilterra sembrò avesse capito la gravità dei fatti e scrisse: “Se i Turchi trionfano nell’isola di Malta, non possiamo sapere quali pericoli sorgeranno per tutta la Cristianità”; disse delle preghiere “per i cristiani che sono al momento invasi dai turchi”.
In Francia, la corte apprese la caduta di Saint-Elme al tempo del suo passaggio a Angouléme, ma non ne conobbe la portata. I Turchi chiesero di poter fermare la loro flotta nel porto francese: i Francesi non rifiutarono, ma li avevano pregati di attendere una risposta.
In Spagna, Filippo II, temporeggiò, pensò molto e fece praticamente arrestare suo fratello bastardo, Don Juan d’Austria, il quale, fremente di indignazione, sarebbe voluto partire in soccorso di Malta. A 22 anni Egli era tutto ciò che non era Filippo: bello, ardente, generoso, eroico; in più era divorato dall’ambizione. Egli spaventava Filippo, che temeva di vedergli prendere l’ascendente che gli donava il suo fascino. Gli impedì dunque di andare in soccorso di Malta.
Malgrado tutto, malgrado l’ostruzionismo fatto da Toledo, alcuni volontari arrivarono in Sicilia: la loro storia è abbastanza sorprendente. Si rileva tale storia da documenti di prima mano, allorquando l’abate di Bourdeille, Brantome, ne fece parte, e raccontò la sua storia nei suoi “Colonels Francais” (“Colonnelli francesi”): 300 gentiluomini partirono dalla Francia per venir in aiuto a Malta. “Questa fu una truppa che, anche se piccola, era così bella, così buona,così veloce e così bene armata che,una volta passati per Milano, dove siamo stati preparati , con vestiti e armi, così superbamente che non sapevamo se ci avessero presi o per gentiluomini,o per soldati, o per principi, tanto ci facevano apparire belli.”
Brantome fece taluni nomi, veramente impressionanti: il maresciallo di Bellegarde, Timoléon de Cassé-Brissac, uno di questi personaggi , affascinante e indomabile del tempo, Joseph Boniface de La Molle, che diverrà l’amante della regina Margot, Philippe de La Guiche, che sarà a capo dell’artiglieria, Jean Hardoudin de Villiers, marchese della riviera, Jean de Vivonne, marchese di Pisani, Louis de Lusignan, marchese di Sain-Gelais, parente del re di Cipro, Philippe Strozzi, il conte Sciarra di Martinego, i tre fratelli Anglure, Lansac, Saint-Sorlin, il barone di Montesquiou, che assassinerà Henri de Condé a Jarnac, René de Voyer dePaulmy, etc… Un fatto veramente sorprendente: Brantome insiste sulla presenza di una cinquantina di volontari protestanti, infatti cita qualche nome: i due fratelli di Clermont d’Amboise, di cui uno, il marchese di Resnel, sarà assassinato a Saint-Barthélémy da suo cugino Bussy d’Amboise; Claude di Clermont-Tallard, che sarà ucciso a Moncontour, Philippe d’Esparbés de Lussan, che sarà uno dei fedeli di Enico IV e che ha un fratello a Malta, Cavaliere dell’Ordine, Romegou che catturerà Taillebourg con 18 uomini qualche anno più tardi.
Tale episodio pare sia stato dimenticato o trascurato, probabilmente di proposito, fatto salvo per Agrippa d’Aubignè il quale offre citazioni nel suo “Histoire Universelle” perché conobbe la maggior parte dei volontari. E’ opinione secondo cui intorno a questo gruppo di volontari per Malta, fosse stata organizzata una cospirazione del silenzio, comandata senza dubbio dalla Spagna, che avrà interesse a truccare il ruolo che i suoi hanno giocato a Malta.

  • Capitolo XIV

L’assedio di Malta: Vittoria dei Cavalieri

Il grande assedio di Malta da parte dei Turchi.

D’altronde questo gruppo di volontari esasperò Toledo,non lasciandogli respiro, reclamando battelli per farsi trasportare sino a Malta, troppo numerosi e di troppe grandi famiglie, perché si potesse intimidirli e portarli al silenzio. Finalmente, Garcia de Toledo inviò a Malta un comando, anche se scarso: il “Piccolo Soccorso”, costituito da quattro galee, quelle di Saint-Aubain e altre due, caricate con 700 uomini, 42 Cavalieri e qualche volontario (per il comando francese), sotto la guida di Melchior de Roblès e del Cavalier di Quincy, della lingua di Francia. Le navi vennero comandate da Don Juan de Cordona, il quale ebbe l’ordine formale di non sbarcare le truppe. Il forte di Saint-Elme era caduto dopo otto giorni, ma ci si guardò bene dal comunicarlo a Cordona e si sbarcò la notte tra il 20 e il 30 giugno 1565. Un colpo di scirocco avvolse l’isola in una nebbia opaca e fredda. I turchi navigarono male, sfiniti dai combattimenti di Saint- Elme. La piccola truppa, defilandosi verso la costa nord, inviò un messaggio a La Valletta e raggiunse facilmente Bourg. Al mattino, i turchi videro con scoraggiamento i pennoni dei nuovi comandi delle navi che fluttuavano lungo il muro di Bourg. Saint-Elme era stata una vittoria di Pirro. Per conquistarla era occorso più tempo, più uomini e materiali rispetto a quelli normalmente previsti. La flotta turca potè entrare nelle rada di Marsamxett, ma non nel Gran Porto; le baie secondarie vennero sbarrate con enormi catene di Venezia, saldamente attaccate. L’arrivo del piccolo comando portò un rinforzo fisico e un supporto morale a una guarnigione ormai disperata. Forse occorrevano altri rinforzi: l’Europa non parve così indifferente alla sorte di Malta, come si era supposto. Mustapha cercò di trattare con il Gran Maestro La Valletta, offrendogli le condizioni che L’Isle-Adam accettò a Rodi nel 1522: il rifiuto fu netto.
La Valletta accolse i rinforzi a braccia aperte. “Quando vide Quincy, si mise in ginocchio e unì le mani verso il cielo per ringraziare Dio e disse agli assistenti che era un dono che Dio gli aveva inviato per assicurargli il suo favore per una felice conclusione di questa guerra”. Accarezzò i capitani e i suoi nipoti, e soprattutto Roblès. I Suoi nipoti erano Henri de La Valletta che rientrò, e uno dei fratelli di Puy-Montbrun. Ovviamente si prese atto che il piccolo soccorso fosse insufficiente per assicurare la vittoria, ma permetteva di prolungare la difesa. Quando Cordona si rimbarcò, a Toledo venne inviato un nuovo messaggio del Gran Maestro, nel quale, anche esagerando, insistette sullo sfinimento fisico dei turchi e richiese un nuovo invio di truppe per concludere l’opera cominciata. Toledo fu felice di apprendere che non si era andato oltre ai suoi ordini e che le truppe erano sbarcate, ma era desolato di dover continuare a cercare i modi per eludere le richieste e strascicare gli invii dei rinforzi a Malta. Ormai, la lotta si concentrò a Birgu. Bisognava ancora resistere all’incirca due mesi e mezzo, prima dell’inizio delle tempeste d’autunno. I turchi cercarono di prendere il borgo alla rovescia, portando delle piccole unità nel Gran Porto, ma dato che non potevano passare il mare, Mustapha decise di farli alare a braccia dopo la baia, attraverso l’istmo della Pietà in una rada di Marsamxett, fino alla sommità del Grande Porto.
Bisognava superare un contrafforte del monte Sceberas, un monticello, ma con dei simili fardelli richiese un’enorme mano d’opera. Ci si misero tutti gli schiavi delle galere e si abbatterono tutti gli alberi accessibili per insediare le chiusure. Tale fu anche la tattica di Maometto secondo per prendere Costantinopoli nel 1453.

Il coraggio dell’Ufficiale turco Philippe Lascaris mette in salvo Malta.

Il 30 giugno 1566, un ufficiale turco di alto grado, Philippe Lascaris, discendente degli imperatori di Bisanzio, sentì svegliarsi in lui una vecchia lealtà cristiana: catturato che era ancora un bambino, cresciuto con grande cura presso la corte del Sultano, convertito all’Islam, aveva fatto una brillante carriera militare. Adesso, a poco più di 50 anni, si ricordò di quello che gli avevano raccontato dell’assediAi piedi del promontorio di Saint-Elme, Lascaris fece capire agli uomini posti in una posizione avanzata che voleva raggiungerli. Non avevano delle barche: gli urlarono di gettarsi in mare e che l’avrebbero aiutato. Si spogliò in fretta dei suoi abiti sontuosi, delle sue armi e si gettò in acqua. Nuotò male, lentamente e stava per annegare nel momento in cui tre bravi nuotatori arrivarono dall’altra riva e lo portarono verso Birgu.o di Costantinopoli e capì che se il piano fosse riuscito, Malta era perduta. Decise di avvisare il Gran Maestro.
Lascaris fu riconosciuto facilmente: il suo arrivo sorprese tutti. Espose il suo calvario morale al capo del comando, Juan Sanoguera, mentre che gli portava qualche vestito e subito dopo ne parlò a La Valletta. La sua sincerità era evidente. Mise al corrente il Grande Maestro del modo in cui si sarebbero portati dei vascelli nel porto, e La Valletta fece immediatamente rinforzare le catene, facendone mettere delle nuove, innalzate su dei picchetti appuntiti: il piano fu sventato.
Lascaris, da subito, rese dei grandi servigi con un intrepido coraggio, poiché se Malta fosse caduta, solo il suicidio avrebbe potuto sottrarlo a un supplizio spaventoso.
I turchi, vedendo il loro stratagemma sventato, ritornarono al duello di artiglieria e avevano montato delle batterie sulle rovine di Saint-Elme per abbattere gli approdi di Birgu. Si trattava di demolire i muri, e di lasciare sulla breccia degli attacchi. Gli uomini erano generalmente inebriati dall’haschich e si scagliavano con indifferenza contro la morte.
combattimenti intorno a Birgu divennero una successione di assalti che si infrangevano su una difesa furiosa, organizzata da uomini sfiniti ma che ritrovarono i loro mordente.
Subirono diversi attacchi da parte dei Turchi con le barche, tramite il porto. Due volte terminarono in catastrofe; due volte i cannoni dei Cavalieri colpirono i vascelli in infilata. Il 15 luglio, in particolare, una batteria nascosta, falciò letteralmente le galere turche. Ma fra i morti, si trovò il Commendatore di Quincy. Agli attacchi di artiglieria si aggiunsero quelli di genio.
Come a Rodi, si giunse alla guerra di trincea, ma fu più difficile a causa della durezza del suolo e della mancanza di terra verde. Uno degli architetti che assistette il Gran Maestro fu Girolamo Cassar, architetto e ingegnere. Fece ricostruire i baluardi a misura, prima che i turchi le distruggessero: una volta ancora, tutta la popolazione civile contribuì e le donne aiutarono una volta ancora a curare i feriti, a portare l’acqua e a provvedere al cibo.

  • Capitolo XIV

L’assedio di Malta: Vittoria dei Cavalieri

Il coraggio dell’Ufficiale turco Philippe Lascaris mette in salvo Malta.

I turchi, provando la guerra psicologica,avevano sperato, senza successo, di distaccare la popolazione civile dall’Ordine. I maltesi erano dei credenti convinti e non potevano accettare le offerte dei musulmani, anche se non avevano avuto di che lodare l’Ordine. Il solo soccorso che giunse ai maltesi, durante questi mesi pieni di ansia, fu la concessione del papa, che accordava delle indulgenze plenarie a tutti quelli che morirono combattendo gli infedeli: non solamente ai Cavalieri uccisi a Saint-Elme, ma anche ai maltesi uccisi sia mentre riparavano un mortaio del baluardo, sia da uno scoppio di bomba, per la strada. Fu un conforto morale per la popolazione locale. Un giorno, durante un assalto, gli Infedeli all’improvviso rinunciarono ad esso e, si dileguarono in un fuggifuggi generale: non se ne capì subito la ragione. La Valletta si domandò se alla fine l’armata di soccorso era sbarcata. Sfortunatamente non era così, ma i turchi l’avevano creduto: un comando, rientrante al campo di base, a Marsa, non lontano dalla sommità del Grande Porto, aveva trovato il campo devastato: i feriti e gli ammalati massacrati, le tende in fiamme, le provvigioni saccheggiate o distrutte.
Lo spettacolo fu spaventoso. Infatti si trattava di un comando di cavalleria dei Cavalieri venuti dalla città di Mdina sotto gli ordini del Commendatore di Ligny che aveva compiuto questa razzia.
Mustapha si infuriò terribilmente: si era trattato di una bravata e la prova che la piccola guarnigione non aveva perso nulla del suo mordente. Gli assalitori si erano ritirati senza opposizione, ogni cavaliere portò un fantino in spalla.
La Valletta fece cantare un Te Deum, ma niente fu veramente salvato: le truppe dell’Ordine si erano dissolte e i turchi avevano ricevuto dei rinforzi dall’Africa.
Garcia de Toledo continuò a inviare delle lettere vaghe e amabili, annunciando il suo arrivo per la fine del mese seguente, ma ormai non ci credeva più nessuno. Bisognò morire con la spada alla mano.
Tuttavia, anche i turchi erano molto stanchi. La maggior parte dei Giannizzeri erano stati uccisi. Gli uomini non marciavano se non sotto l’effetto di haschich o oppio. I capi non andavano d’accordo e tutti temevano la collera del Sultano.
A Malta la situazione peggiorò. Ai duelli di artiglieria seguirono la macchine d’assedio. Le catapulte batterono le mura e una serie di colpi di mano molto audaci e sanguinosi furono necessari per sbarazzarsene. Sfortunatamente vennero subito ricostruite altre catapulte.
Henri de La Vallette, il nipote del Grande Maestro, fu ucciso nel corso di uno di questi combattimenti. La Valletta lo aveva profondamente amato, come un figlio ed ebbe molte difficoltà a nascondere il suo dispiacere. Un assalto contro la porta di Castiglia, fu distruttivo e la campana di San Lorenzo si mise a suonare a martello chiedendo i rinforzi, ma anche gettando il panico. La Valletta risollevò personalmente la situazione, arrivando con un piccolo gruppo di Cavalieri nel punto più minacciato. Li fu ferito abbastanza leggermente ma rifiutò durante le due ore che seguirono, di lasciare il baluardo e non si fece medicare se non quando il pericolo fu allontanato. Gli assalti durarono 24 ore di fila; si moltiplicarono, ma si constatò che i proiettili sparati provenivano dai cannoni della marina: dunque gli altri cannoni dovevano essere fuori servizio. E presto si calmò anche la violenza del fuoco: i turchi dovettero razionare i colpi. Tutto ciò fu incoraggiante. Cominciarono le avversità della pioggia: agosto finì,si arrivò a settembre. Le truppe turche ne avevano più che abbastanza: i convogli che sarebbero dovuti arrivare si persero in mare, arraffati da alcuni corsari che senza saperlo avevano favorito l’Ordine. Le epidemie devastarono l’armata turca: tifoide senza dubbio o tifo. Tuttavia, la situazione di Birgu era terribile. Mancavano le braccia per sotterrare i morti, le cure dei feriti furono interamente abbandonate alle donne. Alcuni Cavalieri,stanchi,suggerirono di abbandonare Bourg e di ripiegare all’interno di Saint Ange. La Valletta rifiutò in maniera assoluta: era stato un disastro ma non avrebbe abbandonato al nemico la popolazione che si era coraggiosamente battuta per l’Ordine. Si conosceva l’attitudine dei musulmani fanatici in circostanze simili: il massacro. La guerra divenne una guerra di usura, e ci si chiedeva chi si fosse diretto verso l’ultimo quarto d’ora. Dei rinnegati o dei prigionieri evasi diedero delle notizie che riguardavano lo scoraggiamento dei turchi. Un colpo di mano contro la città di Mdina aveva totalmente fallito. Allora, malgrado lo sfinimento, le perdite, le devastazioni, un bagliore di speranza cominciò a nascere. Taluni monaci ebbero delle visioni, ossia sentirono delle voci che predissero una liberazione a breve scadenza. Il 7 settembre, il “Grande Soccorso” sbarcò.
Garcia de Toledo aveva ormai esaurito tutte le scuse e le parole di conforto. Aveva degli ordini da parte di Filippo II? Quali? Perché il re aveva adottato questo comportamento? C’era un’ostilità segreta fra lui e il Grande Maestro La Valletta, poiché quest’ultimo era francese? Voleva che l’ordine fosse liquidato tramite i turchi e riconquistare l’isola scontrandosi con un nemico ormai esaurito?
Ma finalmente Toledo,riunì un consiglio di guerra con Giovanni Andrea Doria (di fatto principe di Genova), Alvaro de Sande (condottiero di ventura) , che già si era visto a Gerba, dove era stato fatto prigioniero, e Ascanio de LA Cornia (di Perugia. Marchese di Castiglione del Lago. Signore di Città della Pieve e di Abbadia San Salvatore. Suocero di Montino del Monte a Santa Maria – 1516 -1571).
Tutti e tre passarono all’azione, e anche rapidamente per evitare le tempeste degli equinozi. Finalmente, riuscirono a mettere a punto un sistema di sbarco perfettamente logico e ben coordinato.
I dispacci redatti a questo proposito si trovavano a Simancas.
Toledo consigliò ad Alvaro de Sande di mettersi in contatto con il delegato del Grande Maestro. Si imbarcarono a Messina sulla flotta spagnola e sbarcarono nell’isola di Gozo con 10.000 fanti italiani e spagnoli.

  • Capitolo XIV

L’assedio di Malta: Vittoria dei Cavalieri

Giovanni Andrea Doria

Tutto doveva compiersi “tra la buona volontà e l’armonia”. Giovanni Andrea Doria, che accompagnava l’armata di soccorso, incrociò De Sande e l’assistente La Cornia alle coste di Malta, poi attese loro ragguagli per tornare a un punto di incontro e riunirsi con Toledo, ma non scese a terra. I Turchi ebbero notizia della partenza da Messina. Essi ebbero a contare 60 vele e capirono di cosa si trattava, per cui tale flotta era più che sufficiente per mettere in ginocchio un avversario sfinito e a corto di munizioni. Difatti, il 7 settembre 1565, il convoglio arrivò a Mellieha, piccolo porto sulla costa nord dell’isola, mentre i turchi l’attendevano a sud. Lo sbarco si fece in maniera brusca. Brantome e suo fratello fecero parte dei volontari francesi e, racconta: “Arrivando così a Malta, aspettammo almeno un’ora prima di entrare nel porto, si sentì una salva di tromboni così bella che tutti i guardanti che erano nel porto, che fu costeggiato da tutte le parti, si persero nell’ammirazione e nella contentezza di vederci e di farci fare una bella mangiata… Tutti furono assicurati del nostro arrivo, come del fuoco di Saint-Elme quando apparve su i vascelli dopo una grande tormenta“.
Questo sbarco molto solenne fece credere ai turchi di avere a che fare con un’enorme armata, e non con appena 10.000 uomini in tutto. In una notte, le truppe raggiunsero la città di Mdina, in seguito Birgu. I Cavalieri e gli ufficiali portarono loro stessi i propri equipaggiamenti per lasciare agli altri le munizioni. La Valletta, sapendo a quanto realmente ammontava il soccorso, contò soprattutto sull’effetto morale. Si vide il nemico smantellare in fretta gli accampamenti posti sulle rovine di Saint-Elme. La mattina del 7 settembre 1565, le alture, che dominavano la rada, furono a poco a poco evacuate e, le prime navi fecero vela, portando via i feriti.
Gli assediati di Bourg si precipitarono su un campo scoperto dove fu possibile rintracciarli e operare il congiungimento con l’armata dei soccorsi. Il 10 settembre 1565, le truppe entrarono a Birgu, avendo costantemente evitato i turchi: questi ultimi, non volendo più battersi, si imbarcarono. La Valletta aveva da subito fatto rioccupare e riarmare Saint-Elme, livellare le trincee nemiche e armare le galere imboscate nella baia di Senglea. All’improvviso Mustapha si accorse che le nuove navi arrivate era ben meno numerose rispetto a quello che si era pensato: 10.000 uomini al massimo. Pertanto, decise subito di riprendere la lotta.
La Valletta non fu affatto stupito e fece allertare La Corona. Dispose le sue truppe sulla collina di Naxxar che dominava la costa. L’armata turca sbucò da Msida, essa aveva ancora la superiorità numerica, benché fosse scoraggiata dal lungo assedio, da tre mesi di combattimenti sanguinosi, dalla perdita dei vantaggi ottenuti, dalla conquista di un forte, al prezzo di torrenti di sangue e dalle riprese delle battaglie senza indugi. L’armata dei soccorsi fu finalmente sul campo di battaglia; cose che si sperava da molto tempo. L’armata dei Cavalieri partì all’attacco con Clermont d’Amboise , il quale fu ferito. Le operazioni furono confuse e si succedettero dei confusi attacchi. Mustapha rischiò di esser catturato. I turchi erano alla fine e lasciarono prendere piede ai cavalieri. La retroguardia di Mustapha si fece sciabolare fino al momento in cui i suoi riuscirono a rimbarcarsi, per far vela verso le isole greche.
Malta si salvò e così salvò anche l’Occidente. I soldati dell’armata di soccorso guardarono con stupore lo stato nel quale erano gli uomini e la città: un’armata di spettri nelle rovine.
La Valletta, una volta liquidati i nemici, mostrò tutto il suo charme per mettere a proprio agio e sistemare quelli che avevano agito con determinazione. La sua amabilità fu tuttavia graduata, se così si può dire. Piacevole e simpatico con i francesi, ma glaciale con gli spagnoli, i quali capirono subito il perché.
Una grande cerimonia di grazia fu celebrata a San Lorenzo, i Cavalieri, sistemati nel miglior modo possibile, sotto le tende, poterono gioire dell’ospitalità del Gran Maestro. La Valletta li ricevette in amicizia.
I Cavalieri morti furono sotterrati in una grande tomba comune a Saint-Ange, o davanti San Lorenzo, e gli fu costruita una piramide commemorativa. La Valletta distribuì delle ricompense di cui poteva disporre. Cambiò il nome di Birgu in “Vittoriosa“.
Il Gran Maestro diede una pensione ai bambini dei colonnelli Roblès, Miranda e Medran ( le cui teste furono infisse dai turchi su dei pali ed esposte sulle mura con il viso rivolto verso S. Angelo dopo l’assedio e la presa di Saint Elme); un’altra a Lascaris, che al tempo stesso ritornò dai suoi padri e si stabilì in Sicilia; altre pensioni ai soldati feriti. Distribuì vestiti e affidò una reliquia preziosa ad .
Quando Garcia de Toledo tornò nell’isola, La Valletta lo ricevette con una maestà reale e con la più grande freddezza. In seguito, Filippo II depose il suo vice re Toledo, che privo dell’impiego si ritirò a Napoli dove condusse un’esistenza oscura; poi cercò di far credere a tutti che la vittoria dell’Ordine fosse una vittoria spagnola, ma nessuno si lasciò ingannare. Il 3 settembre 1565, Phare, agente inglese in Spagna, scrisse da Madrid a Lord Cecil che il vice re Toledo aveva perso la sua reputazione, non facendo nulla per Malta, e il 6 dicembre, aggiunse che Toledo si era completamente disonorato a causa della sua politica dilatoria. Il 5 ottobre 1565,in Inghilterra fu annunciata la liberazione di Malta e la regina fece celebrare un servigio di azione di grazia alla Cattedrale di Saint-Paul. Il Papa offrì un galero (cappello ecclesiastico) a La Valletta, il quale rifiutò per mantenere la sua libertà. Filippo II , divenuto amabile e zelante, gli mandò delle magnifiche armi, accompagnate da parole enfatiche che non fecero altro che esasperarlo. Il Gran Maestro fece annunciare la sua vittoria ai sovrani, tramite degli ambasciatori straordinari.

  • Capitolo XIV

L’assedio di Malta: Vittoria dei Cavalieri

Giovanni Andrea Doria

Quello che mandò in Francia, il Commendatore de La Roche, sembra sia stato uno dei Cavalieri che riuscirono a scappare da Saint-Elme all’ultimo momento. Questi fu ricevuto da Carlo IX e Caterina dei Medici a Plessis-les-Tours.
La vittoria sui Turchi salvò quindi l’isola di Malta. Poiché il Gran Maestro era un uomo di una rara energia e di una grande indipendenza di spirito, la nuova posizione dell’Ordine andò ad imporsi al mondo occidentale. La Valletta non dimenticherà mai il comportamento di Filippo II nei suoi riguardi. Non cercherà di scoprire per quale motivo il re aveva completamente abbandonato i Cavalieri. Il Passato gli fu indifferente, ma gli servì da lezione. Ormai, con decisione e cortesia, l’Ordine aveva abbandonato l’orbita spagnola. Filippo II se ne accorse molto presto e non nascose la sua stizza. Innanzitutto bisognò valutare le enormi perdite.
Vittoriosa, i baluardi e la città erano in rovina; altrove le borgate erano rase al suolo, i raccolti e gli alberi tagliati, le scorte di provvigioni e di munizioni vuote, i tesori esauriti e i cannoni fuori uso. Nell’ipotesi che il Sultano lanciasse un nuovo attacco, non sussistevano le condizioni per difendersi. La Valletta fece immediatamente intraprendere le riparazioni urgenti, rimettendo in moto la guerra. Poi chiese fieramente l’elemosina ai principi dell’occidente, e il denaro arrivò: ne uscì vittorioso! I baluardi furono rimessi in piedi. La Valletta pagò gli operai con una moneta ossidionale, di cui il solo incasso era la sua parola d’onore. L’operazione tuttavia riuscì. Molti Cavalieri rientrarono a casa dopo l’assedio, ma Saint-AubinRomegasSalvago, si stabilirono a Malta e depredarono i territori nemici. Malta proseguì i suoi lavori di fortificazione, ma più pacificamente, fece spostare le forze sulla costruzione della nuova città. Soliman morì poco dopo.Malta proseguì i suoi lavori di fortificazione, ma più pacificamente, fece spostare le forze sulla costruzione della nuova città. Soliman morì poco dopo.Di fatto i turchi non tornarono mai più. Si ebbero spesso delle messe in allerta, più o meno giustificate, ma mai attacchi. Di generazione in generazione, i turchi si ricordarono della “paga di Saint-Elme” ed esitarono sempre di attaccare Malta. La vittoria del 1565 servì a tener lontano i Turchi e l’Ordine prese l’offensiva. Passato il grave pericolo, l’Ordine tornò al suo stato normale. Si fece notare che il voto d’obbedienza non era sempre stato rispettato: la disciplina non era una delle caratteristiche dell’ordine. Dopo i mesi di abnegazione eroica, di pericolo sopportato senza batter ciglio, di giorno e di notte, i cavalieri si rilassarono ed allentarono le difese dell’isola.
La Valletta, ormai anziano e stanco, non capì più questo atteggiamento. Quando il nemico era alle porte, aveva potuto chiedere di tutto ai suoi Cavalieri, invece, adesso non era più cosi e gli eroi erano tornati uomini. La Valletta aveva rifiutato il galero offertogli dal Papa, che si era sentito ferito da questa manifestazione di indipendenza. Il Gran Maestro aveva chiesto come sola ricompensa, degli immensi servigi che rispettavano gli statuti dell’Ordine in merito al priorato di Roma.Nell’euforia della vittoria, il Papa aveva promesso tutto quello che gli si era domandato, ma alla prima occasione, aveva serenamente agito come di costume, dimenticando la parola data.La Valletta scrisse un’accesa lettera al Papa, e incaricò il suo Ambasciatore Cambian, di fargliela pervenire. Quest’ultimo fece l’errore di non mantenere segreta la missione. Il Papa ne approfittò per rifiutare l’udienza e dimenticare la richiesta.La Valletta si infuriò. Aveva allora 64 anni, la massima anzianità per il XVI secolo. Aveva condotto, durante tutta la sua vita, un’incessante lotta armata. L’assedio lo aveva sfinito fisicamente, se non mortalmente. Si riposò, come tutte le nature molto attive, facendo dell’esercizio fisico, e in particolare,cacciando. Il 19 luglio 1568, La Valletta fu colpito da insolazione mentre era a caccia, a dispetto del suo grande cappello di feltro nero, e svenne.Venne riportato a palazzo dove fu colpito da una febbre violenta che si abbassò qualche giorno più tardi, lasciando però degli strascichi. Il Gran Maestro si sentì cedere piano piano. Espresse le sue ultime volontà al consiglio e rimise i suoi poteri al balivo di Venezia. Poi non pensò ad altro se non che al suo saluto eterno e morì il 25 agosto 1568. Il suo corpo fu deposto prima a San Lorenzo e, dopo l’elezione del suo successore, Pietro del Monte, come 48° Gran Maestro, fu trasferito in pompa magna nella uova città che sorgeva d’innanzi a Birgu. Il feretro attraversò l’insenatura su una barca, dopo di chè venne portato dall’imbarcadero alla piccola cappella di Santa Maria della Vittoria.

Capitolo XV

Vittoria della Flotta Cristiana a Malta

Il 48° Gran Maestro Piero del Monte, della lingua d’Italia, è un personaggio abbastanza insignificante. Gli spettò di continuare l’opera di La Valletta e di ricevere i bottini fatti in mare. Tuttavia, dovette interrompere questa politica di attesa per un’operazione di grande importanza. Sélim, figlio di Soliman, riprese i progetti di suo padre contro l’Occidente.Sélim non aveva osato attaccare Malta, ma agli inizi del 1571, si impadronì di Cipro. I turchi si scatenarono in un terribile massacro, dopo essersi giurati il falso,come d’abitudine. La maggior parte della popolazione fu venduta come schiavitù. Una volta di più il pericolo si riavvicinò all’Europa e questa volta fu Venezia che venne direttamente presa di mira, in quanto Cipro le apparteneva. L’Europa dovette reagire. Louch Ali, al comando della flotta turca si avvicinò ai territori veneziani. Evitando Zara, che era ben difesa, attaccò Cattaro, poi Corfù e si temette che non avrebbe risalito l’Adriatico.
Il Papa allora allertò tutto l’Occidente. In qualche modo il Papa aveva formato la Santa Lega che univa alle sue forze quelle della Spagna, di Venezia e di Genova.

  • Capitolo XV

Vittoria della Flotta Cristiana a Malta

Filippo II aveva acconsentito che il comando della flotta cristiana e del contingente spagnolo venisse affidato al suo fratellastro, Don Juan d’Austria (figlio naturale di Carlo V). Il principe aveva 24 anni e si era già rivelato un grande capo, e questo motivò la gelosia e la diffidenza che gli aveva mostrato il re di Spagna. Alle flotte di queste quattro potenze si aggiunse un comando di Malta: non molto ingente, 3 galere. L’Ordine non era ancora riuscito a riparare completamente i disastri causati dall’assedio e a riequipaggiare una flotta importante. Inviò la galera capitana, la “Vittoria“, poi il Saint-Jean e il Saint-Pierre. I capi delle galere dell’Ordine furono di prim’ordine. Romegas fu fra questi. Dopo il grande assedio, Egli aveva condotto una splendida carriera da corsaro, depredando regolarmente le città barbare e le isole greche, dove i suoi equipaggi vennero sempre accolti a braccia aperte dagli abitanti. Inaffatti, i greci ortodossi assistettero sempre i Cavalieri di Malta, rispetto invece alle flotte dei turchi.
Un altro ausilio, oltre a Romegas, venne dato da Louis Balbis de Crillon, che divenne il “Bravo Crillon” di Enrico IV. Questi si battè un po’ dappertutto sotto gli ordini di Guises: a Calais, a Dreux,a Saint-Denis, a Moncontour. La sua personalità piacque da subito a Don Juan d’Ausria. Crillon contò molto fra i più imminenti membri dell’Ordine. Altre marine di grande classe si trovarono a bordo delle navi di Malta: il grande priorato di Messina, Giustiniani, il generale delle galere, Alonzo de Texada e Roquelaure di Saint-Aubin, che aveva fatto di tutto durante l’assedio per sottrarre Toledo alla sua inerzia. La galera di Savoia fu condotta dal Cavaliere di Ligny, uno degli eroi dell’assedio.
Ancora una volta, la lentezza della Spagna fece rallentare tutte le operazioni. Solo il 20 luglio Don Juan partì da Barcellona per il porto di Genova, dove Giovanni Andrea Doria gli offrì una serie di accoglienze. Le diverse squadre si incontrarono a Messina, nell’agosto del 1571. Dopo un’entrata grandiosa nel porto di Messina, si constatò che le galere di Candie e di Spagna, mancavano all’appello. L’indomani, Doria e Santa-Cruz, ammiraglio spagnolo, arrivarono con 41 nuovi vascelli.
Don Juan ispezionò minuziosamente la flotta: non ne fu entusiasta. Le galere di Venezia si trovarono in pessimo stato, l’Ammiraglio Veniero, vecchio e bizzoso, si mostrò da subito ostile. Don Juan non potette prendere decisioni senza l’autorizzazione del Consiglio: la maggior parte dei membri vollero frenare l’attività del giovane ammiraglio, coscienti della debolezza delle loro navi, che tra l’altro, venne esagerata maggiormente. Venezia al contrario spinse all’azione, così anche Romegas, che si rivelò uno dei più fermi sostenitori di Don Juan.
Brantome scrisse così: “Don Juan fece riunire tutto il Consiglio per sapere cosa si sarebbe dovuto fare. Ne aveva parlato con il Cavaliere Romegas che stimava molto. Ne aveva infatti tutte le ragioni, poiché era stato il migliore uomo di mare del tempo, senza fare torto agli altri; inoltre era quello che aveva fatto maggiormente guerra ai turchi. Don Juan gli aveva quindi domandato cosa gliene sembrava: “Quello che mi sembra, Signore, disse il Cavaliere Romegas, è che se l’imperatore vostro padre, si fosse trovato davanti una tale armata come questa qui, non avrebbe mai cessato di essere imperatore di Costantinopoli, cosa che gli riuscì senza difficoltà.” “Questo vuol dire, disse Don Juan, che bisogna combattere?” “Si signore, rispose il Cavaliere Romegas”. ” Combattiamo dunque!” concluse don Juan.
Ci si preparò all’attacco con 280 galere e 6 galeazze. I Turchi avevano all’incirca 300 battelli, ma solamente 150 galere. Mentre la flotta cristiana lasciò Corfù, Ali Pacha si imboscò in un porto inespugnabile, quello di Lepanto nel golfo di Corinto. Il Cavaliere d’Andrada, mandato in ricognizione, lo riferì a Don Juan. Il 7 ottobre 1571, la flotta cristiana arrivò davanti al golfo di Patrasso. Al mattino, si scorsero le vele turche che uscirono dal loro rifugio. Don Juan diede immediatamente l’ordine di attaccare e fece issare il grande stendardo della Santa Lega. Qui non si tratta di narrare la storia del combattimento, ma di ricercare il ruolo giocato dall’Ordine di Malta: ruolo sproporzionato rispetto al suo debole effettivo.

Marcantonio Colonna

La capitana di Malta seguì subito la “Reale” di Don Juan. Al momento dell’attacco della capitana ottomana, si trovò Romegas che tenne la barra del timone delle navi di Marcantonio Colonna e che saltò all’arrembaggio con lui, accompagnato da diversi Cavalieri di Malta. Questa offensiva liberò la nave di Don Juan, pericolosamente impegnata. Un po’ ovunque cominciarono gli arrembaggi e fu ancora “paga di Saint-Elme” per i giannizzeri che rincontrarono i Cavalieri di Malta. La capitana comandata da Giustiniani fu affidata nell’ala destra al comandante Doria, mentre il centro fu giudato dal romano Marcantonio Colonna , che aveva anche l’onore di alzare lo stendardo papale, e quel che più conta al veneziano Sebastiano Venier, il vero genio militare di questa battaglia. Essa fu attaccata da 7 galere. Non rischiò l’abbordaggio, ma il vascello venne crivellato di pallottole e di frecce. Fu una lotta all’ultimo sangue. Sessanta Cavalieri, di cui il grande balivo Tedesco e Giustiniani, vennero colpiti o morirono poco dopo. L’attacco fu diretto da Louch Ali, che volle a tutti i costi vendicarsi della sconfitta di Malta. Doria commise un grave errore di cui riuscì a riparare ma senza poter salvare i vascelli perduti. Fu la “Reale” di Don Juan che infine risollevò la situazione. La vittoria fu conseguita alla fine dalla flotta cristiana.

  • Capitolo XV

Vittoria della Flotta Cristiana a Malta

La Vittoria dei Cavalieri di Malta a Lepanto

Le perdite turche furono enormi: Lepanto segnò la fine della supremazia navale del Sultano. Ma la vittoria era stata possibile solo perché Malta, sei anni prima, aveva tenuto e impedito l’invasione in Occidente. Don-Juan rientrò trionfale a Messina. Fu Louis de Crillon che lo incaricò di andare ad annunciare al Papa la vittoria, a dispetto di una ferita ricevuta.
Malta ricevette due galere che furono sottratte al nemico, per rimpiazzare quelle che erano andate perse. E ormai l’Ordine si distaccò dalla Spagna. Ovviamente la Santa Lega si disgregò subito dopo la vittoria, e si concluse con la Porte una pace zoppicante, negoziata da Filippo II: quest’ultimo non ci tenne assolutamente a vedere il proseguimento delle prodezze del fratello (Don Juan). Ed è, verosimilmente, a causa di un suo ordine, che più tardi il principe sarà avvelenato nelle Fiandre.
Nel 1572 il Gran Maestro Del Monte morì, e si elesse al suo posto un francese, il 49° Gran Maestro Jean l’Eveque de la Cassière.
Il nuovo Gran Maestro de la Cassière (detto il Vescovo) è un personaggio molto modesto e impacciato. Nel 1581 egli riuscì a rizzarsi contro una grande parte dell’Ordine, a causa delle sue misure intempestive. Volle ostacolare i Cavalieri , al momento delle elezioni e delle scelte, e favorire quelli della propria lingua. Egli fece anche esiliare, nei luoghi più inaccessibili dell’isoladi Malta, alcuni cortigiani di La Valletta, cosa che esasperò i Cavalieri. Molte decisioni imprudenti provocarono una rivolta dei Cavalieri di tutte le lingue; spagnoli, francesi, tedeschi.
Dunque, i primi anni del suo governo furono segnati da numerose dispute e discussioni tra l’Ordine ed il Vescovo di Malta sulal giurisdizione ecclesiastica della cattedra episcopale locale. Queste dispute, del resto, erano già state affrontate all’arrivo dei cavalieri sull’isola di Malta nel 1530, quando avevano ricevuto la sovranità ad opera dell’Imperatore Carlo VLa Cassiere non fu in grado di risolvere il problema, che venne infine rimandato a Papa Gregorio XIII che nominò un Grande Inquisitore, con grande risentimento dell’Ordine.
Un secondo conflitto, di dimensioni maggiori rispetto al primo, scoppiò nel 1575 con la Repubblica di Venezia, quando una galea maltese assaltò una nave veneziana che trasportava beni per gli ebrei del ghetto della laguna. Venezia si sentì oltraggiata, e l’Ordine si trovò confiscati tutti i beni che possedeva entro i confini della Repubblica. Per evitare il conflitto, fu necessario l’intervento del Papa, e il pagamento da parte di La Cassiere di un’ingente somma di denaro. Nuovamente, il fatto provocò un certo malcontento tra i cavalieri dell’Ordine.
La terza causa di discordia con l’Ordine, durante la reggenza di La Cassiere, fu il suo ruolo che venne messo in discussione dal Re Filippo II di Spagna che voleva eleggere a Priore di Castiglia e Leon un suo parente stretto, il diciassettenne Arciduca Venceslao d’Austria (figlio dell’Imperatore Massimiliano II, cugino di Filippo), assegnandogli anche il Balato di Lora. Offesi dall’interferenza del Re spagnolo, i cavalieri casigliani manifestarono apertamente il loro dissenso. In risposta, il Papa ordinò loro di scusarsi pubblicamente prima col Gran Maestro e poi col Generale del Convento per la loro insubordinazione.
Mathurin d’Aux de Lescout – detto Romegas o Mathurin Romegas (Gran Priore di Tolosa, che era ammirato per il valore militare dimostrato in numerose battaglie navalie e che era stato nominato Luogotenente del Gran Maestro nel 1577, di divenire de facto il Gran Maestro successore) si mise a capo di tale rivolta, prendendo il titolo di luogotenente del magistero. Egli fu profondamente ferito dal fatto di non essere stato eletto Gran Maestro alla morte di Del Monte. Si mise, dunque, a capo degli scontenti che rimproverarono al Grande Maestro la sua nullità e la sua senilità (dormiva ai Consigli, non prendeva alcuna misura per fortificare Malta, lasciò andare tutto a rotoli e rifiutò di lasciarsi designare un tenente). Finalmente l’Ordine lo sospese. Quattro Cavalieri si fecero notare per la loro violenza contro La Cassière. La Cassière fu arrestato e rinchiuso a Saint-Ange. Il Papa si immischiò in questa faccenda, per cui Romegas e La Cassière si recarono a Roma. Romegas fu avvelenato a Roma e ricevette un funerale molto onorevole e pomposo. Il Gran Maestro La Cassière si rifiutò di tornare a Malta e morì a Roma anche lui nell’anno 1582.

Huges Loubenx de Verdalle 50° Gran Maestro

In seguito, l’Ordine scelse Hugues Loubens de Verdalle come 50° Gran Maestro. dell’Ordine di Malta dal 1581 al 1595. Egli è ricordato in particolar modo per aver fatto costruire il casotto da caccia di Boschetto che da lui prese il nome di Palazzo Verdala. Egli è sepolto in un sarcofago nella Cripta della Cattedrale di San Giovanni a La Valletta.

  • Capitolo XVI

Splendore di Malta – Città della Valletta

La costruzione della città di La Valletta, seguì una configurazione abile, avendo le strade parallele le une alle altre. E’ attualmente la capitale di Malta. Una serie di chiese, svettano intorno alla Cattedrale di San Giovanni che si trova al centro della città: Santa Caterina degli Italiani per esempio, e la piccola Santa Maria della Vittoria, Saint Roche, Sainte Ursule. L’isola è delimitata da chiese e da conventi e in tutte le borgate svettano delle grandi chiese barocche, decorate da statue di santi.

Arrivo del “Caravaggio” a la Valletta

Un colpo di fortuna, portò il famoso pittore italiano Caravaggio a Malta.Nel 1607, Michelangelo Merisi detto “Il Caravaggio” sbarca nella città de La Valletta, in compagnia del suo discepolo, Leonello Spada. Caravaggio, a 34 anni, è all’apogeo della gloria e anche della sua carriera burrascosa. Egli fuggì da Roma, dopo essere stato compromesso da un Omicidio. Mal accolto a Napoli, dove la freddezza degli spagnoli lo persuase, pensò improvvisamente che avrebbe avuto senza dubbio più possibilità a Malta e, che un soggiorno nell’isola dell’Ordine avrebbe potuto aiutarlo a rientrare in grazia e a far dimenticare l’affare violento che lo aveva allontanato da Roma.
Infatti fu accolto a braccia aperte dal 52° Gran Maestro Alof de Wignacourt, quale buon giudice in materia d’arte per riconoscere la reputazione dell’uomo che venne a domandargli asilo. Caravaggio fu fatto Cavaliere di Grazia Magistrale, dispensato dalle prove e dal voto. Gli si donò un atelier e servitori. Il pittore si mise a lavoro e a Malta dipinse 5 tele: un “Saint Jerome” che si trova nella cappella della lingua d’Italia, un “Amour endormi” (palazzo Pitti), una “Maddalena“, che è andata persa, il magnifico “Alof de Wignacourt” che si trova a Louvre, senza che si sappia come ci sia arrivato, dopo aver lasciato l’isola appena 20 anni dopo la morte del modello, e uno dei suoi capolavori, la “Decollation de Saint-Jean Baptiste” nella cappella dell’oratorio della cattedrale di San Giovanni. La “Decollation de Saint-Jean Baptiste” è un’immensa tela, con la violenta chiazza del mantello rosso di Giovanni Battista in primo piano, in contrasto con il vestito di velo nero di Salomé.
Il Grande Maestro Wignacourt, entusiasmato, si congratulò con il pittore e gli donò una catena d’oro. Poco tempo dopo, si apprese che il Caravaggio si trovava a Saint-Ange, sotto l’accusa di una grave colpa: ha discusso con un Cavaliere e l’ha ucciso o ferito. Riuscì a fuggire, sicuramente con degli alti complici e raggiunse la Sicilia. Durante questo tempo, restò radiato dell’Ordine come “member putridus e foetidus“. Morì poco dopo a Roma portando sempre il suo titolo di Cavaliere di Malta.

Arrivo del Pittore “Mattia Preti” a la Valletta

Nel 1661, arrivò a Malta un altro eccellente pittore: Mattia Preti, detto “il calabrese” (Cavaliere di Malta, di buona nobiltà). Senza avere il genio di Caravaggio, di cui subisce l’influenza, egli possedette un reale talento. Ebbe a conoscere Rubens nelle scuole di Venezia e di Napoli ed ebbe il dono delle grandi composizioni energiche e ben equilibrate. Accolto dal Gran Maestro, Rafael Cottoner, intraprese un’opera gigantesca: il soffitto della Cattedrale di San Giovanni, che ritrae la storia del santo. Ostenta all’interno dell’opera una grande ricchezza di immaginazione, un fremito di vita e di passione. Gli eroi dell’ordine posti, in rapporto al soffitto, come le Sibille e i Profeti di Michelangelo alla Sistina, hanno una foga e un’eleganza che denotano tanto mestiere quanta ispirazione. Due delle più belle tele sono senza dubbio il “Martirio di Santa Caterina“, di una composizione ardita e sapiente, esposta al palazzo dei Gran Maestri e la “Vergine circondata da santi” al palazzo di Verdala. Al palazzo del Grande Maestro si trova ancora “Loth e le sue figlie“, mentre un bellissimo “Martirio di San Lorenzo” può essere ammirato a San Lorenzo. Malta è piena di chiese e l’attività di Preti è stata gigantesca, poiché ne ha decorate molte, di cui San Lorenzo a Vittoriosa, fino alla sua morte,nel 1693. Oggi riposa sotto una delle stemmate della Cattedrale di San Giovanni, degna ricompensa per un’instancabile attività con la quale aveva servito l’ordine.Attorno alle chiese e alle locande, vennnero edificate poco a poco, le case dei Cavalieri. Molti si impegnarono a far costruire palazzi nella città di La Valletta. Gli architetti, per la maggior parte, furono maltesi e studiarono in Itaia: Tommasso DingliAntonio FerramolinoLorenyo Gafa. Molti furono italiani: Pietro Paolo FlorianaBartolomeo GengaTancredo Lavarelli da CortonaGabrio Serbelloni che è Cavaliere di Giustizia, che si battè a Lepanto. Questi legò da subito la sua sorte a quella di Don Juan d’Austria. Un architetto militare è francese: il Cavaliere de Tigné; un altro architetto francese, Frank, giunge a Malta nel XVIII secolo. Il maltese Cassar costruì il castello di Verdala e l’altro maltese Cachia che edificò il palazzo di Selmun. Altre opere di questo periodo sono la locanda di Aragona risale al 1571 e quella di Alvernia è del 1574, quella d’Italia del 1574 e quella di Francia del 1588.

  • Capitolo XVI

Splendore di Malta – Città della Valletta

Sacra Infermeria

L’ospedale della “Sacra Infermeria” venne iniziato nel 1575. Infine, le opere degli architetti dell’ordine oltrepassarono la cornice della città e il loro talento si diffuse in tutta l’isola.
Poco a poco, Malta, prese lo strano aspetto di un’isola di pietra, coperta d’architettura, ma presso a poco nuda. A distanza di tempo, dei nuovi forti si edificarono lungo le insenature: Forte RicasoliForte TignéForte Manoel.
Alcune città si crearono in tutte le tacche delle insenature vicine alla citta di La Valletta, chiamate successivamente come i Gran Maestri che le hanno fondate:Paula, Senglea, Cottonera; Spinola prende il suo nome da una Gran Croce.

L’Ordine restò fedele al suo compito principale di Ospedaliero

L’ospedale principale dell’Ordine restò la “Sacra Infermeria” a La Valletta, la quale domina la rada. In un epoca in cui, il meno che si possa dire degli ospedali degli altri paesi è quello di essere di una sporcizia pericolosa, quelli di Malta, senza essere impeccabili, furono i meno ripugnanti. Nel cortile vennero piantati aranci, la biancheria dovè essere personale. I malati riposarono soli nel loro letto, fatto eccezionale per quell’epoca, poiché a fianco di ogni letto si trovava un asciugamano su uno sgabello. Si servirono i malati con vassoi d’argento: l’Ordine possedette tonnellate di pezzi di argenteria, e mandò parte di detti pezzi alla fusione nei periodi in cui le finanze sono in disordine.
I Cavalieri sembrarono avere a cuore il loro ruolo di infermieri. Il Grande Ospitaliere rappresentò il pilastro della locanda di Francia (grandi privilegi si legarono a questa dignità).
Una serie di regolamenti precisarono le condizioni nelle quali i medici dovevano lavorare: a) in servizio per un mese e non autorizzati a lasciare l’edificio durante questo tempo, b) pasto in camera, c) ronda due volte al giorno.
Si stabilirono regole sopratutto sulla questione delle quarantene: in quel caso si era interdetti a uscire dal lazzaretto, stabilito nell’isola di Manoel, nella baia di Sliema.
L’Ordine intervenne anche quando dei flagelli devastarono le contrade vicine. Nel 1784, un terremoto devastò Messina e Reggio Calabria. La notizia arrivò a Malta una sera, verso le 7. Il 68° Gran Maestro Emmanuel de Rohan, appresa tale notizia, lavorò tutta la notte per organizzare gli aiuti e i vascelli partirono l’indomani mattina: quattro galere con 25.000 scudi, 12.000 assi per costruire dei rifugi provvisori, materassi, 20 casse per le medicazioni, viveri. Fra i Cavalieri, tutti volontari, che partirono per Messina, si trovarono lo storico Boisgelin e il Cavaliere di Fay, l’amico di Dolomieu. Lavorarono con accanimento per tre settimane, evacuando a Malta, i feriti gravi.
La tradizione ospedaliera oltrepassò i confini dell’isola. Un Cavaliere di Malta, Noel de Brulart de Sillery fondò il primo ospedale canadese nel Québec, nel 1637 ( diventerà l’Hotel-Dio).
Una biblioteca è fondata da i Cavalieri nel 1612: essa cambiò molte volte di domicilio e il bellissimo edificio che esiste attualmente venne costruito da Rohan nel 1784. I Cavalieri erano tenuti a tramandare i libri dell’Ordine, anziché la loro argenteria e le loro armi. Certi bibliofili si sforzarono di riunire un certo numero di volumi che potevano essere utili ai marinai: il balivo di Tencin, tramandò una magnifica collezione di libri all’Ordine o ancora il balivo di Fassion de Sainte-Jaye, di cui l’eredità fu altrettanto bella, ma meno austera. Mentre Tencin donò delle opere di matematica, di geografia, di grammatica, di lingue stranieri, di racconti di viaggio, il balivo di Sainte-Jaye si specializzò nei romanzi e nel teatro. La maggior parte dei volumi sono francesi.
Nella biblioteca, le prove di nobiltà non furono complete: ne esistono 3000, e ce ne sarebbero dovute essere di più. Ma nel loro insieme questi archivi cosituirono di una ricchezza infinita, inimmaginabile. I testi furono redatti per i due terzi in italiano, per un terzo in francese e quasi mai in latino, salvo le carte antiche portate da Rodi e dalla Palestina.
Alcuni degli atti di Rodi, tutti risalenti all’inizio della storia dell’isola, risultarono già in lingua francese.
Oggi, si ha l’impressione che veramente pochi Cavalieri conoscessero il latino dopo la fine del XVI secolo. Uomini come StarkeyCrillonVillegagnon rimasero degli umanisti di gran classe: simili livelli di erudizione non si ritrovarono più tardi.
Nel XVIII secolo, infatti, alcuni Cavalieri possederono una bella cultura, ma piuttosto di tipo scientifico, come Mons de SavasseDolomieude SazveBoisgelin. Ancora una volta, non si chiese ai Cavalieri di essere dei clerici.

Capitolo XVII

La Guerra di Corsa dei Cavalieri di Malta

Dopo Lepanto, il costante legame tra Malta e la Spagna si interruppe. L’Ordine ritenne di aver fatto abbastanza. Nello stesso tempo cambiò la formula di guerra. I turchi apparvero molto meno minacciosi sul mare rispetto al passato, prediligendo l’attacco via terra e marciando verso l’Austria attraverso i Balcani. Al fine di nutrire la popolazione maltese, si rese necessario cogliere il grano meno caro portato dai trasportatori di Tunisi o Tripoli, anzichè acquistarlo in Sicilia o in Francia. Difatti, la guerra di corsa divenne una necessità economica più che una vocazione religiosa e militare. Le razzie in alto mare o nei porti portarono all’Ordine grano, legumi, frutta, tappeti, bestiame, spezie, caffè proveniente dall’Arabia (è verso l’ultima parte del XVII secolo che si comincia a bere caffè in Europa),e soprattutto la ciurma per le galere, prigionieri turchi,arabi o negri.
I prigionieri di Malta vennero relativamente trattati bene: ben nutriti, curati se feriti o malati e presso a poco liberi quando furono a terra; essi servirono da valletti ai Cavalieri (mano d’opera gratuita). Detti prigionieri fecero anche da giardinieri, trasportatori d’acqua, staffieri, ma non vennero utilizzati nei lavori duri, quali come lo sterramento e la riparazione dei baluardi. Al termine di un certo numero di anni essi riuscirono a riscattarsi e talvolta ci furono anche dei cambi di prigionieri. Le razzie dei Cavalieri si compiono anche nelle isole greche, dove non rispettarono particolarmente i beni dei greci scismatici. Ogni primavera, i Cavalieri passarono all’attacco di ChioMytilèneLemnos. Si impossessarono di LepantoCorintoHamamet in Tunisia, e appesero a Saint-Jean le pesanti chiavi delle città conquistate. Nelle isole dell’arcipelago, i greci diedero un’ottima accoglienza ai Cavalieri e qualche volta seguirono i loro amanti a Malta. Certi giovani Cavalieri misero avanti il loro scrupolo religioso… fino a convertire le loro amanti al cattolicesimo.

  • Capitolo XVII

La Guerra di Corsa dei Cavalieri di Malta

Malta fece la guerra di corsa sotto tre forme differenti:

  • in primo luogo ebbero le navi dell’Ordine, battenti bandiera di Malta (rossa a croce bianca), comandate dai cavalieri e servite dalla ciurma dell’Ordine;
  • alcuni Cavalieri, autorizzati dal Consiglio, si raggrupparono a due o a tre, noleggiarono una galera, reclutarono un equipaggio e fecero la corsa sotto la bandiera dell’Ordine, versando una percentuale dei loro bottini al Gran Maestro;
  • infine, i pirati maltesi, sudditi del Gran Maestro ( i Cavalieri non lo erano) fecero ugualmente la corsa, muniti di una lettera di contrassegno, essi vennero temuti non solamente dai Barbari, ma da tutte le nazioni cristiane.

I Cavalieri catturarono dei pirati, non importa come, e gli archivi di Malta traboccavano di veementi proteste di tutte le nazioni di Europa, Francia compresa, che si lamentò molto del modo di agire di questi personaggi.
La reputazione della marina dell’ordine divenne immensa, al punto che essa formò una sorta di scuola navale internazionale. Molti giovani fecero carriera sia a Malta che presso la loro marina reale – soprattutto quelle francesinapoletanesvedesirusse. Sia che fossero protestanti, sia che fossero ortodossi, tutti servirono come volontari sotto la croce a otto punte. I giovani russi lasciarono degli eccellenti ricordi: essi si diomostrarono bravi, disciplinati, cortes e coscienziosi.
Gli svedesi furono dei marinai eccezionali. Uno di questi fu lo straordinario condottiero, Karl Koenigsmark, fratello di Aurora e Filippo Cristoph de Koenigsmark, zio del maresciallo di Sassonia. Egli arrivò a Malta nel 1565, all’età di 18 anni, e malgrado la sua giovinezza, si rivelò un grande ufficiale di galere. Il 59° Gran MaestroNicholas Cottoner, entusiasmato dalla sua bravura, lo nominò Cavaliere di Grazia magistrale, anche se di religione protestante.
Sempre a Malta, nella cornice della guerra di corsa, si distinse Anne-Hilarion di Cotentin di Tourville. Questi, giunto a Malta nel 1660, all’età di 17 anni, lasciò tutti esterrefatti per la sua sorprendente bellezza, per il suo charme e la sua attitudine per il lavoro in mare.
Nel frattempo che la flotta dei Cavalieri esercitava scorribande nel mar mediterraneo, i Consoli di Echelles du Levant si lamentarono amaramente dell’audacia dei Cavalieri di Malta. Il console di Francia d’Arvieux a Mili, e il console a Smirne, deplorarono il loro operato, ponendosi in forma ostile nei confronti dei Cavalieri.
Fu evidente che all’interno dell’Ordine, esistettero alcuni personaggi fuori cornice, ossia difficili da tenere in briglia. In tale contesto rientrò il caso di Gabriel de Téméricourt. Esistettero due fratelli con questo nome all’interno dell’Ordine, Massimiliano e Gabriele d’Abos de Téméricourt, nati a Pantoise rispettivamente nel 1645 e 1646, ricevuti dall’Ordine nel 1663. Questi ultimi si rivelarono due marinai eccezionali.
Nel 1668, quando i due Cavalieri, i fratelli di Téméricourt, prepararono l’agguato a Nio, nelle Cicladi, un loro segnale li avvicinò a una flotta turca di 54 galere. I piccoli vascelli di Malta si precipitano e, vii fu una furiosa mischia di quattro giorni, in cui i due fratelli e i loro compagni uscirono vincitori. Gabriel guadagnò il soprannome di Flagello dei Mari. L’anno successivo però Massimiliano viene ucciso durante un incarico.
Attraverso tutta la storia dell’ordine, si succedono dei grandi nomi di marinai: il Cavaliere Laparelli, il bailli di Langon, che, nel 1708 tentò di salvare Oran,condannato dall’inerzia spagnola, e che venne ucciso in un combattimento al largo di Cartagine.
Sempre più spesso i pirati barbari attaccarono la flotta francese e per questo divennero un grande problema. Allora, la guerra di corsa rappresentò una necessità politica economica e religiosa. Tale stato di cose venne imposto anche dalle altre potenze, soprattutto dalla Francia. Malta dovè coprire la costa del Mediterraneo, schierando così una parte della flotta reale francese. La Francia, spesso, dovè mandare una squadra per sparare qualche centinaia di colpi di canone contro Algeri, Tunisi e Tripoli.
L’Inghilterra ebbe anch’essa dei motivi per lagnarsi dei Barbari che assillarono le sue navi durante il commercio nel Levante.
All’epoca di queste crociere, Malta diventò il punto di rifornimento della squadra e i rapporti tra gli ammiragli britannici e i Grandi Maestri sono eccellenti. Nel 1678, il 60° Gran MaestroGregorio Caraffa ricevette due ospiti importanti: il giovane ammiraglio Henry, duca di Grafton, uno dei figli illegittimi di Carlo II, e suo cugino, non meno illegittimo, figlio di Jaques II, James Fitzroy, futuro duca di Berwick. I due ospiti tornavano da una missione, quella di recuperare dei prigionieri a Tripoli, fra i quali portarono in salvo diversi Maltesi. I due giovani vennero ricevuti con grandi onori.
L’Ordine risultò, nell’insieme, ben equipaggiato per raggiungere il suo scopo. Come già detto, i Cavalieri furono dei grandi marinai e allestirono buone navi, oltre ad esser ben informati sulla navigazione di un mare pericoloso e bizzarro come il Mediterraneo.
Il vascello favorito nel XVII secolo venne rappresentata dalla galera, troppo poco armata per combattere da lontano, ma molto adatta per gli arrembaggi. Essa fu manovrata da una ciurma di prigionieri turchi o barbari. La ciurma venne spesso rinnovata a causa dei logoranti compiti che affrontava. Ad esempio Luigi XIV ebbe un grande bisogno di rematori per le sue galere,e Malta glieli fornì.
I paesi – che avevano dei condannati, i quali però non fossero della marina, come per esempio certi principati italiani – inviarono i loro prigionieri sulle galere della Religione.
Oltre alle Galere, l’Ordine possedette i grandi velieri, fortemente armati e con la capacità di portare 400 o 500 uomini dell’equipaggio. In generale, gli equipaggi dell’Ordine sono eccellenti, molto allenati, ben comandati, infinitamente superiori ai turchi che sono dei pessimi marinai.
Gli anni delle corse divennero molto fruttuosi: Malta accumulò circa 10.000 prigionieri e tutto andò per il meglio.
Orbene, nel 1749, a Rodi, Antonio Montalto organizzò una rivolta e si impadronì della galera di ordinanza “La Lupa“, comandata dal malfamato Pacha di Rodi, Mustafa. Il Montaldo, con l’aiuto di 140 schiavi cristiani a bordo, che liberò dopo aver saldamente legato il Pacha nella sua cabina, fece prigionieri 120 turchi a nord, poi sferzò a vele spiegate verso Malta.

  • Capitolo XVII

La Guerra di Corsa dei Cavalieri di Malta

Lo sbalordimento e la gioia dei Cavalieri davanti all’arrivo nel grande porto di Malta della “La Lupa”, sotto il comando di Antonio Montalto, fu comprensibile.
Successivamente Luigi XIV, avendo una sancito, in passato, una intesa con i turchi, chiese di lasciare il pascià in libertà nell’isola. Giustamente il pascià fu mal disposto nei confronti dell’Ordine. Egli, infatti, non tardò a riunire un nucleo di schiavi e a ordire con loro una temibile cospirazione; si trattò, niente di meno, di assassinare i Cavalieri e di impadronirsi delle navi e dei forti.
Intanto, due congiurati chiacchierarono della cospirazione in un caffè tenuto da un certo Cohen, ebreo convertito. I congiurati, di origine araba, parlorono in una lingua che somiglia molto al maltese. Cohen capì la situazione e andò immediatamente a denunciare i suoi clienti. Immeditamente, i Cavalieri procedettero a 150 arresti , e le confessioni, ottenute con la tortura, rivelarono rapidamente tutta l’organizzazione del complotto.
Quattro congiurati morirono sotto tortura; altri 32 furono giustiziati in un modo orribile sotto il comando del 66° Gran Maestro portoghese, Manoel Pinto de Fonseca. Tuttavia non si osò giustiziare il pascià.
Il Gran Maestro Pinto scrisse al re di Francia: “Quando, donando la libertà al pascià di Rodi, ho avuto l’onore di provare a Vostra Maestà la mia deferenza senza riserve a Sua volontà, non avrei mai potuto prevedere che un mese dopo avrei scoperto una congiura tramata dal pascià che ne era a capo e che aveva per complici i miei propri schiavi. La perdita della mia vita, che doveva essere sacrificata all’odio personale del pascià contro di me era il segnale dell’insurrezione.”
Uno degli aspetti drammatici della guerra di corsa fu la prigionia presso i barbari. Costituì un rischio perpetuamente minaccioso: era sufficiente una battaglia persa, o uno sbarco mancato.
Nella maggior parte dei casi, nel XVII secolo, i prigionieri vennero riscattati, ma la prigionia poteva essere lunga e faticosa. Alcuni Cavalieri hanno passato dei mesi e degli anno rinchiusi in ignobili galere dell’Africa del nord e della Turchia.
Qualche volta i prigionieri provarono a fuggire, come nel caso del Cavaliere Paul Antoine di Quiqueran di Beaujeu, catturato dai Turchi nel 1660 dopo un combattimento epico in cui tre delle sue galere avevano attaccato trenta vascelli nemici. Il capitano turco, che lo fece prigioniero, fu costretto a fare appello al suo talento di marinaio per salvare la nave durante il corso di una violenta tempesta e molto lealmente tentò di salvarlo arrivando a Costantinopoli. Ma Beaujeu fu riconosciuto da Méhémet Kupruli e rinchiuso al castello delle Sette Torri. Allora egli aveva 36 anni, e passò 10 anni in prigionia. Luigi XIV e Venezia tentarono, senza successo, di riscattarlo. Nel 1760 il marchese di Nointel arrivò a Costantinopoli come ambasciatore, avendo nel suo seguito Jacques di Beaujeu, il nipote del commendatore, un ragazzo di 22 anni che aveva giurato di liberare suo zio. Paul di Beaujeu cominciò col rifiutare di fuggire, per non compromettere Nointel, ma suo nipote, tentò tutto quello che si potette tentare, riuscendogli a fargli cambiare idea: nel corso di un secondo colloquio gli portò degli utensili e delle corde.
Nel giorno stabilito, due marinai che dovevano portarlo via, si organizzarono per appiccare un incendio alle sette torri, il più lontano possibile da quella in cui si trovava il prigioniero. Mentre tutti erano impegnati per spegnere l’incendio, il prigioniero Paul di Beaujeu lanciò la corda nel vuoto e si calò. La corda però era troppo corta e così si dovette gettare in acqua; sentendo il tuffo lo inseguirono, ma avevano perso troppo tempo e Beaujeu nuotando sott’acqua raggiunse la barca dove l’attendeva suo nipote. In seguito arrivarono al battello. A dispetto di un fermo in pieno Bosforo e di interminabili discussioni. I turchi non osarono andarlo a riprendere sotto la bandiera di Francia, così Beaujeu riuscì a raggiungere la Francia.
Il caso più penoso fu quello di quattro Cavalieri catturati nel 1708, all’epoca della presa di Orano. L’Ordine aveva sbarcato un contingente per rinforzare una guarnigione senza valore, comandata dal Cavaliere Caraffa. I Cavalieri occuparono due forti della cinta, San Filippo e Sant’Andrea. Caraffa segnò una capitolazione abbastanza umiliante e fuggì con i suoi, abbandonando gli altri Cavalieri di Malta alla popolazione civile.
Due Cavalieri francesi, Laurent de Vento de Penne, porta stendardo dell’Ordine, Bonifacio de Castellane d’Esperon,un servo d’armi Baulme,e un Cavaliere italiano, Balbani, nipote di un grande crociato, furono venduti come schiavi ad Algeri. Essi chiesero aiuto al 62° Gran Maestro, Raymon Perellos, in alcune lettere tanto degne quanto commoventi, per ottenere il loro riscatto. A sprezzo delle convenzioni, furono costretti al lavoro nella Marina, con i ferri ai piedi. Si ammalarono diverse volte. Perellos mantenne il silenzio per molto tempo, infine rispose a una disperata lettera, biasimando vivamente il suo autore, che mancava di rassegnazione cristiana, consigliandogli di indirizzare a Dio le sue ferventi preghiere, aggiungendo che lui non poteva fare nulla.
I riscattisti turchi non fecero niente di più, ritenendo che i Cavalieri di Malta fossero ricchi, per cui potevano riscattarsi da soli. Ora, i Cavalieri, e soprattutto Castellane d’Esparon, erano poveri ed, era la situazione in cui si trovarono tutti i Cavalieri di Malta prima di ottenere una commenda. Il console di Francia a Algeri, Clérambault, intervenne, cercando di aiutare i prigionieri e di far comprendere la situazione al Gran Maestro Perellos. Nel 1771, i due Cavalieri francesi firmarono insieme una lettera per il Gran Maestro. Essi cedettero alla carità di quest’ultimo e rimasero delusi. Si sentirono allo stremo delle forze, quindi decisi a non far niente. Perellos donò una superba lettera d’introduzione per Luigi XIV, utilizzando un tono melodrammatico e ne inviò un’altra all’ambasciatore a Parigi. Luigi XIV, di cui si conosceva l’indifferenza, non fece nulla per slavare i due cavalieri. Siamo nel 1713. Dopo due anni il re morì. Due mesi più tardi, Filippo d’Orléans, il Reggente,convocò di urgenza al Palazzo reale l’ambasciatore, il sensale di Mesmes, e pretese, nella maniera più netta, un riscatto immediato: la situazione, intollerabile, era durata sin troppo. Il balivo, che ebbe a passar un brutto momento, scrisse una lettera urgente al Gran Maestro e, un settimana più tardi, ebbe un secondo colloquio, tutt’altro che tempestoso. Filippo II volle sapere cosa fosse successo. In effetti il denaro per il riscatto dei cavalieri fu inviato a Clérambault, ad Algeri: 2300 piastre per ogni Cavaliere, 2.200 per il servo d’armi.

  • Capitolo XVII

La Guerra di Corsa dei Cavalieri di Malta

La questione della schiavitù si pose nuovamente nel XVIII, allorquando il Cavaliere Luc de Boyer d’Argens venne catturato da un pirata barbaro. Quest’ultimo, essendo un rinnegato di Aix-en-Provence, come colui che catturò Vintimille, fu pieno di riguardi per il Cavaliere, suo compatriota, e lo rilasciò. Nella sua opera sull’Ordine, Boyer d’Argens, raccontando l’episodio, aggiunse che “non bisogna sempre contare su una simile generosità da parte dei Barbari,anche se rinnegati “.
Ma la guerra di corsa non si rallentò, poichè divenne sempre più una necessità per l’isola di Malta. Durante la rivoluzione, quando l’Ordine si ridusse in miseria a causa della confisca dei suoi beni in Francia e nei paesi occupati dalle armate della Repubblica, la guerra di corsa imperversò in proporzioni considerevoli. Non a caso il 68° Gran Maestro, il francese Emmanuel de Rohan, diventò furioso quand’egli apprese che una nave di Tunisi sfuggì all’inseguimento. In tale contesto altri Cavalieri che non possedevano abbastanza denaro per armare la loro barca, presero servizio sotto alcuni corsari maltesi.
Intanto, l’Ordine riuscì ad insediare gli ambasciatori in diverse corti, in Francia, a Roma, in Spagna, in Austria, a Venezia e a Napoli. In Francia, il rappresentante dell’Ordine fu ricevuto con grandi onori. A Partire dal XVII secolo, gli ambasciatori alloggiarono presso “rue de la Ville l’Eveque.” Il sensale di La Vieuville e, soprattutto il sensale di Mesmes, a Parigi, fecero delle entrate spettacolari. Il sensale di Mesmes relazionò la sua entrata in un lungo rapporto al Consiglio delle Lingue, il quale rapporto venne copiato nel “Liber Conciliorum” del 1715, e fece stampare il racconto sotto forma di libricino: eccellente propaganda che rivalutò il prestigio dell’Ordine. Dopo la sua entrata solenne a Parigi, il sensale di Mesmes venne scortato al suo hotel da una vera e propria processione di carrozze della corte, del corpo diplomatico, dalle fanfare e dai Cavalieri di Vincennes. Poi, qualche settimana più tardi, ebbe l’udienza a Versaille, dalle 8 di mattina alle 3 del pomeriggio, con la presentazione ed il discorso del sensale, poi con il discorso del re e per finire una colazione. Più tardi, l’accoglienza del sensale di Froulay, apparì molto più rapida e semplice.

Commercio dell’Ordine dei Cavalieri

Da lungo tempo non venivano più nominati i commendatori, in quanto l’Ordine rasentò la più grande ricchezza , per cui non ebbe bisogno di ricevere dei nuovi doni in terre straniere. L’Ordine mantenne le sue vaste proprietà autonomamente. Con il miglioramento dell’agricoltura, i commendatori donarono degli introiti che permisero di far fronte a tutte le spese dell’Ordine, tenuto conto che l’economia personale dei Cavalieri non consetiva di far fronte a tali spese. La maggior parte dei cavalieri, alla loro morte, furono coperti dai debiti. A Malta, il reddito più sicuro consistette, quindi, nella raccolta dei bottini a bordo delle navi dei barbari. Difatti, tale situazione si evolse poco a poco, poiché i Cavalieri, sebbene legati al voto di povertà, giunsero alla regola di osservare solamente l’interdizione a fare affari. Ma anche questa non fu una regola rigida, perché si decise di poter intraprendere certe operazioni commerciali con l’autorizzazione del Gran Maestro. Una raccolta di “Suppliche“, negli archivi di La Valletta, descrive detta situazione commerciale. I Gran Maestri furono molto tolleranti, tanto da lasciare ai Cavalieri la possibilità di trovare il modo per vivere, fino al momento di diventare commendatori. Nella maggior parte dei casi le famiglie non si dimostrarono generose con loro. Così, divenne perfettamente normale vedere un Cavaliere francese e un veneziano mettersi in società per creare e gestire una segheria a Malta, o altri dedicarsi al traffico di import- export di olio di Malta contro il vino francese, o formaggio di Gruyere (l’importatore è un Cavaliere Svizzero). Alcuni formarono e vendettero le collezioni numismatiche, In sostanza vi fu una grande varietà di occupazioni.

Capitolo XVIII

L’Espansione dell’Ordine sino all’Epoca Moderna

Nel 1639, il Cavaliere Philippe de Lonvilliers de Poincy, all’età di 56 anni, fu inviato nelle Antille come governatore delle isole d’America, essendo un funzionario francese e, si stabilì Basseterre, nell’isola di Saint-Critophe. Egli venne ricevuto nell’Ordine sin dal 1604.
Nel 1644, il ministro francese inviò Patrocle de Thoisy per rimpiazzare Poincy.Quest’ultimo si rifiutò di partire e fece catturare in mare il suo successore de Thoisy e lo rispedì in Francia. In seguito si imbarcò in una politica molto audace e si impadronì delle isole vicine, Saint-Barthéléemy, Saint-Martin e poi Saint- Croix. Il Gran Maestro francese, Jean Paul de Lascaris, chiese a de Poincy di riscattare le isole per l’Ordine.
Nel 1652, senza ben capire a cosa gli servano, Il Gran Maestro Lascaris divenne acquirente di 120.000 livree. L’operazione fu negoziata in Francia, dal sensale di Souvré, ambasciatore dell’Ordine, officiale e mecenate. Poincy restò governatore delle isole, che furono ufficialmente rimesse all’Ordine nel 1653, delle quali una parte del loro prezzo era già stato pagato.
Nel 1660 Poincy morì all’età di 77 anni. Il 58° Gran Maestro, l’aragonese Rafael Cottoner, inviò d’ufficio i Cavalieri di Juré e di Salles per studiare la situazione.Infatti le isole risultarono ricche e si sarebbe certamente potuto farle prosperare, ma erano molto lontane da Malta, d’altronde l’Ordine non aveva uno spiccato senso per le avventure lontane. Souvré venne incaricato di discutere la retrocessione delle isole a favore di Parigi. Il ministro francese Colbert non chiese di meglio che di riprenderle, ma le riscattò a basso prezzo. In seguito il Cavaliere di Salles governò le isole ma in nome del re di Francia.
In effetti, il Gran Maestro Cottoner non dimostrò molto arguzia all’occorrenza e neppure , il suo ambasciatore, il marchese di Souvré, sebbene fosse un uomo di valore, intraprendente ed energico, che aveva giocato un ruolo nell’Armata del Piemonte e durante la Fronde dalla parte del re.
Molto più tardi, nel 1761, l’Ordine si trovò di nuovo di fronte l’avventura lontana, e una volta ancora mostrò prova di una strana timidezza. Il protagonista di questo episodio fu il Cavaliere Etienne – Francois di Turgot, figlio del prevosto (ossia vicario episcopale con titolo d’onore) dei mercanti di Parigi e fratello maggiore dell’economista che sarà ministro di Luigi XVI. (TurgotEtienne Francois, Marchese de Coismont, statista francese, nato a Parigi, il 2 giugno, 1721; vi morì, il 21 ottobre, 1789. Dopo che servì per un po ‘di tempo i Cavalieri di Malta, egli ritornò in Francia nel 1764 con la brigata delle armate del re. Turgot suggerì di colonizzare razionalmente la Guyane in America del Sud per compensare la recente perdita del Canada. Questo paese selvaggio si presentava molto ricco e si poteva guadagnare molto.

  • Capitolo XVIII

L’Espansione dell’Ordine sino all’Epoca Moderna

Il Ministro francese Étienne François de Choiseul (28 giugno 1719 – 8 maggio 1785 egli svolse funzioni di diplomatico e politico francese – nominato pari di Francia e gli fu conferito il titolo di duca) accettò e nominò Turgot governatore della Guyane. Si trattò di una nuova colonia con il nome di “equinoxiale Francia,” abbastanza forte per resistere, senza alcun aiuto dal paese madre, agli attacchi, e anche per dare soccorso alle altre colonie americane in caso di necessità.
Il Cavaliere di Menou sulla questione posta da Turgot inviò un lungo studio al Gran Maestro per esporgli i progetti e il ruolo devoluto a Malta nell’operazione, in quanto i Cavalieri e i maltesi potevano trasferirsi nella Guyane. Precisamente si potevano ospitare 1.000 coloni e il re gli garantiva delle condizioni speciali. La Guyane formò una nuova commenda dell’Ordine. Però, l’affare non andò molto lontano, perché il 3 maggio 1763, il 66° Gran Maestro, il portoghese Manoel Pinto de Fonseca, rispose in maniera da non lasciar sussistere alcun equivoco: declinò la sua partecipazione. La sua lettera, estremamente cortese, precisò che Malta non aveva abbastanza uomini giovani per assicurare la sua difesa, sostenendo anche che il maltese fosse fatto per il mare non per l’agricoltura. Pinto cercò di tenere una riserva di marinai nell’isola, ma la storia dimostra che i maltesi sono sempre emigrati.
Turgot partì nel 1764, passò un anno a Cayenne e poi rientrò in Francia. Egli ha scritto numerose opere, memorie, e opuscoli, tra i quali “Mémoire sur la Flore de la Guiane” (Parigi, 1766) e “Osservazioni sur l’espèce de RESINE e astique de l’lle de France, semblable celle de Cayenne” (1769 ).
Nel 1768, Il Gran Maestro Pinto tentò di abbordare la grande politica europea. La questione della Corsa si dimenticò. Il Gran Maestro moltiplicò i rapporti, gli avvisi, le suppliche. Inviò al suo ambasciatore a Parigi, il Balivo de Leury, un lungo studio per stabilire i diritti dell’Ordine sulla Corsa e come “sottometterla alla dominazione dell’Ordine”.
Il duca di Choiseul decise di non farsi scappare l’isola, per cui le epistole di Pinto si posero in modo negativo nei confronti del progetto dell’isola voluto dallo stesso Choiseul. Poco tempo dopo l’arrivo del rapporto, egli scrisse un biglietto segreto al sensale di Mirabeau: “Non scrivo più a quella gente (Malta); questa mattina ho scacciato il mio segretario, che mi aveva portato delle lettere da firmare per quel paese. Hanno perso il senso comune e si comportano come delle fiacre. Fortunatamente il grande maestro sta morendo. . . “.
Il sensale di Mirabeau si pose in pessimi rapporti con il Gran Maestro Pinto. Senza dubbio fu questa la ragione per cui rimise il biglietto al nunzio Manciforye, il quale lo fece pervenire al Vaticano.
La risposta ufficiale del ministro al Gran Maestro non è stata conservata negli archivi dell’Ordine alla biblioteca di Malta. In ogni caso si sa come evolse l’affare di Corsa: Choiseul accettò l’isola nel 1768, mentre Pinto restò indifferente alla questione dell’isola Guyane per non offendere la Francia, ma soprattutto per non porsi in contrasto con il re.
Così, dopo diversi tentativi per allargare il suo campo d’azione e prendere parte fra le grandi potenze territoriali, l’Ordine mantenne il potere costantemente all’interno del piccolo perimetro della sua isola, con il suo rosario di isolette, benché la sua azione, limitata all’Europa, restò attiva.
Con l’avvento del XVIII secolo, la posizione dell’Ordine diventò perfettamente netta. Il periodo di gloria militare e navale apparteneva al passato. La Turchia aveva perso molto della sue forze militari della sua audacia, per cui apparve nelel condizioni “dell’uomo malato”. Le reggenze barbare sprofondarono nell’anarchia inerente agli Stati arabi. Le loro navi divennero più ingombranti che pericolose. Vi fu ancora qualche allerta, ma non si profilò più molto seria.L’Ordine approfittò di tale situazione per rimettere in piedi le sue fortificazioni e la sua marina.
Intorno a Malta tutto si evolse. Del passato Malta mantenne la tradizione della neutralità totale nei conflitti fra i principi cristiani. Nel corso del secolo, l’Ordine dovè risolvere problemi complicati; infatti Luigi XIV cercò di trascinarla nella sua guerra contro l’Olanda, facendo luccicare la possibile restituzione delle commende confiscate nel XVI secolo, e l’Ordine si dimostrò abbastanza saggio da non accettare.
Nel 1771, la Danimarca chiese il suo aiuto contro la Turchia: l’Ordine rifiutò, in quanto, senza dubbio, aveva già negato l’appoggio alla Francia. Tutti gli ambasciatori francesi, dopo PorteNointelFerriolDes Alleurs ebbero delle seccature da parte della Francia, ma mentre il “segreto del re” fu rappresentato a Costantinopoli per conto di Bonneval, alias Ahnet Pacha, era un Cavaliere della lingua d’Italia, il commendatore Giusepe Mayo, che faceva da intermediario fra lo stupefacente personaggio e l’ambasciatore francese.
Boneval difficilmente potette visitare il palazzo dell’ambasciata nelle sue sontuose vesti di pascià a nove code. Con il declino della sua potenza militare, Malta vide crescere l’importanza del suo ruolo diplomatico. I Cavalieri di Malta, prestano servizio in tutte le armate, in tutte le marine, in tutte le ambasciate di potenza cattolica, e informano il Gran Maestro di tutto quello che vedono o sentono.
Infatti, la capitale di Malta, La Valletta, divenne uno dei migliori posti d’ascolto di tutta Europa, e i suoi archivi gettarono una nuova luce su quasi tutte le questioni. Nel XVIII secolo, come nel XVII, il primo paese per Malta fu la Francia: con tre lingue francesi, 58 commende in Francia, i due terzi effettivi formati da elementi del re di Francia. Il re di Francia fu il sovrano che dimostrò più di tutti grandi riguardi al Gran Maestro e ai suoi ambasciatori.

  • Capitolo XVIII

L’Espansione dell’Ordine sino all’Epoca Moderna

Luigi XV donerà ai maltesi il diritto di risiedere in Francia, senza essere sottomessi alle imposte che gravavano sugli stranieri e al diritto di albinagio.Il Grande Maestro inviò tutti gli anni due falchi al re di Francia, scortati e presentati da un Cavaliere che faceva il viaggio personalmente. Inviò anche delle casse di arance, di limoni, di melograni, alla regina o al delfino, e delle damigiane di acqua di fiori d’arancio al re, per la sua pasticceria: si sa che Luigi XV si divertiva a fare dei dolci nelle cucine dei Piccoli Appartamenti.
Quando l’Ordine si trovò in difficoltà, il re di Francia intervenne. Nel 1761 si produsse l’affare delle “Corona ottomana”; per la 2° volta, una galera turca fu sequestrata dalla ciurma cristiana, mentre i graduati musulmani assistevano alla grande preghiera. L’equipaggio si sbarazzò in maniera definitiva dei turchi restati a bordo e navigò verso Malta.
Il Sultano prese atto di quello che era accaduto ancora con più rabbia rispetto alla cattura del pascià di Rodi e minacciò di mettere tutto il mediterraneo a ferro e sangue. Probabilmente non l’avrebbe fatto, ma avrebbe potuto creare problemi e la Francia intervenne, riscattando la galera all’Ordine e rendendola al Sultano. L’Uccello” comandata dal conte di Mories prende il mare dal porto di LA Valletta e per non offendere i turchi, prese a bordo un solo cavaliere di Malta, il pittore Antoine de Favray, che ne approfittò per fare un lungo soggiorno in Turchia e per dipingere l’entrata della flotta nel Corno d’Oro.
Per tutto il tempo, l’ Ordine si era dovuto difendere dai costanti sconfinamenti della Curia romana sui suoi privilegi. Vecchia ostilità che risaliva alla Palestina. Una delle grandi cause di scontri fra l’Ordine e la Santa Sede era la nomina ai benefici del gran priorato di Roma. Il papa li attribuì senza l’opinione del Grande Maestro, a dei protetti o a dei parenti, e mise i Cavalieri di Roma contro il Gran Maestro.
Alla fine del XVIII secolo, mentre il 68° Gran Maestro, Emmanuel de Rohan si dibatteva nel mezzo di tutti i conflitti intestini, Roma inaspriva la situazione, appoggiando i Cavalieri che si schierarono contro il Gran Maestro:non perchè le loro idee fossero particolarmente ortodosse, ma perché ostili al Gran Maestro.
Nel 1753, l’ambasciatore dell’Ordine, il Balivo Bonanno, discuteva con il ministro degli affari stranieri di Napoli, la questione della nomina dei preti maltesi. Questa rappresentò una fonte costante di attrito, soprattutto la nomina del vescovo di Malta. Napoli riteneva che spettasse a lui di decidere la nomina del vescovo in ultima istanza. La Santa Sede l’approvò. Ebbe delle interminabili difficoltà quando il Grande Maestro scelse come vescovo un Aixois, Mgr. D’alphéran de Bussan.
Il ministro degli Affari Esteri di Napoli prevalse e per fare pressione sull’Ordine, mise l’embargo sui commerci con Malta: Se la misura fosse stata osservata sarebbe stato molto grave: ovviamente non fu così.
I napoletani, che non volevano perdere il loro migliore cliente per i prodotti alimentari e per l’equipaggiamento militare, si trasformarono immediatamente in contrabbandieri, mestiere per il quale sono molto dotati. Fu lo stesso per i maltesi, e gli scambi commerciali ripresero presso a poco normalmente.
Ma il governo napoletano era duro e comincia a prendere delle misure militari. Il Gran Maestro lancia allora un appello ai Cavalieri, che dovevano essere pronti a rispondere a un’azione in convento che poteva giungere da un momento all’altro.
Napoli intendeva annullare la carta di Carlo V. Il 66° Gran Maestro, il portoghese Manoel Pinto de Fonseca, allerta le altre nazioni, prendendole come testimoni dell’insulto che gli è stato fatto.
Il tono montò in una tale maniera che Luigi XV fece pressione su Napoli attraverso l’intermediario del suo ambasciatore, il marchese d’Ossun. Poco dopo, quest’ultimo informò il nuovo ambasciatore di Malta , il sensale di Duenas,che, per il momento,l’affare è regolato.
Napoli tornò alla ragione e il Gran Maestro ringraziò Luigi XV per l’efficacia del suo comportamento. Ma la situazione non era del tutto chiara e tutto poteva riaccendersi da un momento all’altro. L’ostilità fu latente e si manifestò a più riprese, a dispetto di visite di cerimonia della squadra di Malta a Napoli, in occasione di un matrimonio, di una nascita o di una successione al trono.
Nel 1787, il Cavaliere de la Bourdonnaise, conduce un’altra squadra a Palermo, e questa volta era il vice re che aveva organizzato un ballo, il quale durava dalle 9 di sera alle 7 di mattina; l’ostilità però sussisteva. Nel 1775, avvenne uno degli episodi più pittoreschi di questa rivalità: la rivolta dei preti maltesi, sotto il grande magistero del 67° Grande Maestro, l’aragonese Francisco Ximenes de Texada. Alla notizia, forse falsa, che una squadra russa stava impadronendosi della baia di Arzew, una parte della flotta dell’Ordine aveva navigato verso l’Africa del Nord.
Poco dopo, il mattino del 9 settembre 1775, dalla finestra del suo palazzo, il grande maestro scorse un drappo sconosciuto che fluttuava su un bastione di Saint-Elme. Non capendo nulla chiese delle spiegazioni: i preti maltesi si erano rivoltati sotto la direzione di un istigatore chiamato Mannarino ed avevano occupato un bastione di Saint-Elme e qualche barca. Terrorizzato, il Gran Maestro Ximenes, che non era giovane, perse completamente la testa, dando degli ordini incoerenti. La situazione fu rapidamente sistemata da uomini più calmi e giovani, il balivo di Rohan in testa. Fece rioccupare il bastione e i vascelli e in fretta fece impiccare alcuni dei preti che si erano allontanati maggiormente. Era evidente che Ximenes per la sua mancanza di abilità e per la sua brutalità, si era reso ostile tutto il clero,ma Egli era stato segretamente istigato e finanziato da Napoli e da un’altra potenza. Lo scopo dei ribelli era l’occupazione dei forti, della flotta e della locanda di Castiglia. Il rapido intervento del Cavaliere Rohan, regolò la questione; Mannarino, giudicato, ottenne la salvezza, così come gli altri quattro istigatori; non si ebbero più esecuzioni. La Santa Sede non emise nessuna protesta. Senza dubbio l’inquisitore era compromesso; si impose il silenzio.
Ximenes voleva organizzare una repressione terribile, che avrebbe peggiorato all’inverosimile le tensioni, ma non ne ebbe il tempo: morì qualche settimana più tardi, e Emmanuel de Rohan fu eletto al suo posto come 68° Gran Maestro e calmò gli spiriti.
Era evidente che Napoli aveva fatto di tutto per provocare una crisi e contò di riconquistare l’isola senza spese. Da subito, vedendo che questo progetto si era arenato, ne mise in piedi un altro: tentare di far passare l’Ordine sotto la sua tutela, in particolare, per utilizzare la flotta come una sorta di scuola navale napoletana. Il Gran Maestro Rohan fu messo al corrente e riuscì una volta di più a ridurre il progetto a niente, prima che avesse preso corpo. Da subito Napoli sarà una delle potenze che minacceranno l’ordine durante la Rivoluzione.
Per una bizzarra tattica politica, Napoli era stata il giocattolo di una potenza che già minacciava il mediterraneo, la Russia. Questa politica russa nel mediterraneo si espandeva con Pietro il Grande che, nel 1698 inviò a Malta Boris Chérémétieff, ambasciatore di una lettera e di alcuni regali per il grande maestro. Chérémétieff era affascinante, intelligente, ed era anche un buon marinaio: venne messo a capo di una piccola operazione navale che portò a termine con grande successo. Ci si domandava tuttavia quali fossero le intenzioni dello zar.

  • Capitolo XVIII

L’Espansione dell’Ordine sino all’Epoca Moderna

Per il momento erano perfettamente inoffensive, almeno in superficie: egli cercò di formare delle squadre per organizzare il suo impero e Malta poteva dargli un’importante formazione navale a dei giovani officiali russi.
Nel corso del XVIII secolo, molti giovani russi prestarono servizi sulle navi dell’Ordine: Timoléon Koslanoff, Jean Selifontoff, Nicolas Rogostin, che Pinto congedò nel 1769 con i più grandi complimenti.
Con l’avvento di Caterina II, la politica russa si va precisando e divenne inquietante. Ufficialmente i rapporti sono eccellenti, e la zarina mostrò prova di un’amabilità debordante, quasi imbarazzante. Scrisse spesso al Gran Maestro, informandolo della sua successione al trono, della spiacevole e improvvisa morte del suo caro sposo. La zarina Caterina inviò il suo ritratto tramite Levitzky. Pinto e poi Rohan, risposero in maniera affettuosa, domandandosi quali fossero e reali intenzioni della sovrana.
Nel 1776, durante il corso di una nuova guerra con la Turchia, la zarina tentò di trascinare Malta al suo seguito, facendo luccicare la speranza di riconquistare Rodi e forse delle altre isole. Il Gran Maestro Rohan si sottrasse: l’offerta era vaga ed era evidente che Malta sarebbe servita come flotta d’appoggio e l’idea di entrare in guerra a fianco di un impero scismatico non lo tentava.
In più, una Russia potente e vittoriosa era molto più pericolosa di una Turchia in via di decomposizione. Non era più il tempo delle crociate.L’operazione contro la Turchia seguì di poco l’episodio della rivolta dei preti, durante la quale la Russia aveva dovuto constatare che, in tutti i modi, l’isola non sarebbe caduta tramite il suo intervento. La rivolta dei preti maltesi, fu certamente sovvenzionata da Napoli e dalla Russia. Uno dei più irrequieti e più intelligenti Cavalieri dell’Ordine, il Commendatore di Dolomieu denuncerà la collusione fra Napoli e la Russia. La partita era doppia, poiché si giocava nei territori sulla terraferma dell’Ordine. Dal 1618, il principe d’Ostrog, gran signore polacco, aveva legato i suoi beni all’Ordine, dopo l’estinzione della sua famiglia. Il principe d’Ostrog morì nel 1673 e dopo un processo intentato dal fratello, i beni furono rimessi all’Ordine, costituendo la più grande parte del gran priorato di Polonia. Alla prima divisione della Polonia, le terre dell’Ordine si erano trovate in territorio russo e la Russia le aveva confiscate, lasciando sussistere la speranza che ne avrebbe restituita almeno una parte dopo qualche negoziazione. Niente fu più complicato.
Tuttavia, l’Ordine disponeva di un diplomatico di gran classe, il sensale Michel Sagramoso, originario di Verona. Egli proveniva da una buona famiglia, era eccezionalmente colto, aveva studiato a Bologna, acquistando una cultura generale nettamente superiore a quella dei Cavalieri. S’interessò alla geologia, alla meteorologia, alla botanica e alla fisica. Spirito vasto, un po’ superficiale ma estremamente dotato, conosceva il francese in maniera non soltanto perfetta ma anche affascinante, e aveva pronunciato un discorso in svedese al momento del suo ricevimento all’Accademia Reale di Stoccolma.
L’affare della Russia si riaccese nel 1772. Bisognava assolutamente andare a discutere sul posto con Caterina II per tentare di salvare qualcosa delle commende della Polonia,e nessuno meglio del sensale Sagramoso poteva intraprendere questa pericolosa missione. Conoscendo il nord del paese, poliglotta, sapendoci fare, Sagramoso è per di più molto bello e ha un grande portamento. Ripartiva dunque, prima per Parigi, dove metteva a punto la questione finanziaria del suo viaggio, infine per Varsavia e da lì a San Pietroburgo, dove arriva nell’aprile del 1773.
Le negoziazioni furono difficili: Sagramoso scrive a Fleury: “Conto infinitamente sulla bontà e la grandezza d’animo di quest’immortale sovrana”. Dopo mesi inutili passati a San Pietroburgo, Sagramoso ripartiva per Varsavia, dove il clima era meno faticoso. Finalmente, dopo lunghi sforzi arrivò a una soluzione accettabile, che salvaguardava qualcuno degli interessi dell’Ordine. Ritornò a San Pietroburgo per baciare la mano della zarina Caterina II e ricevette una bottiglia tempestata di diamanti, dopo di che rientrò a Parigi, da cui raggiunse Malta. Dal suo ritorno a Malta, il Gran Maestro inviò il Balivo Sagramoso a Napoli come ambasciatore.
Sotto Carlo II, i rapporti sono buoni. Il re, scrisse qualche volta al Gran Maestro per annunciare l’invio di una squadra nel Mediterraneo- spesso sotto il comando di Sir Jhon Narborough. Le navi si rifornivano a Malta, erano ben ricevute e l’ammiraglio riscattava dei prigionieri maltesi. Sotto Jaques II, le relazioni fra l’Inghilterra e Malta sarebbero potute essere eccellenti. L’Ordine sperò molto in un sovrano cattolico e lasciò capire attraverso discrete allusioni che avrebbe restituito o concesso volentieri qualche commenda in Inghilterra.
Giacomo II era completamente d’accordo, ma il suo regno breve e catastrofico non gli lasciò il tempo di prendere delle misure in questo senso. Quando Giacomo II fuggì in Francia l’ordine gli dimostrò grande deferenza così come a suo figlio (Giacomo III), Cavaliere di San Giorgio, alla donna di quest’ultimo, Clementina Sobieska, così come al loro secondo figlio Henry, Cardinale di York.
Il Gran Maestro nominò Grande Priore d’Inghilterra, a titolo puramente onorifico, uno dei nipoti del Duca di Berwick. In tutta questa corrispondenza l’amabilità dei grandi Maestri era certa: senza alcun dubbio, essi possedevano il più grande numero delle innumerevoli lettere degli Stuarts, rispetto agli altri sovrani.
Intanto, i pirati maltesi rappresentavano una perpetua fonte di esasperazione. Una crisi scoppiò nel 1713. Alcuni marinai inglesi si lamentarono di essere stati maltrattati a Malta e nello stesso momento un vascello inglese fu catturato dagli spagnoli e venduto a La Valletta. L’Ambasciatore dell’Ordine, il balivo di La Vieuville, fu incaricato di entrare in rapporti con l’incaricato britannico degli affari, Matthew Prior, e di studiare la questione. Tutto ricominciò nel 1718 ,allorquando una barca inglese fu illegalmente catturata in alto mare e illegalmente venduta a La Valletta. Questa volta, c’era una squadra inglese in Sicilia, e l’ammiraglio che la comandava, Sir George Byng, decise di agire, ma con estrema cortesia.
Malta è un luogo in cui era impossibile isolarsi. Le locande nazionali erano presenti in numero ridotto. E pertanto sembrava che la vita era poco più che tollerabile, e che nella maggior parte dei casi, le associazioni fra Cavalieri di nazionalità diverse funzionavano bene. I diversi servizi dell’Ordine e in particolare lo stato maggiore delle navi erano internazionali e funzionavano senza contrasti. Incidentalmente, ci si domandava quale lingua fosse più diffusa a Malta. Certamente non il maltese, che nessuno salvo forse il Gran Maestro Rohan, sapeva. Certamente non il latino, poiché i Cavalieri non erano degli eruditi. Sagramoso, uomo molto colto scriveva in maniera fascinosa a Linné: “Il mestiere di corsaro , che ho fatto per molti anni durante la mia giovinezza, non era adatto per coltivare l’apprendimento di tutte le lingue dotte”.La maggior parte dei Cavalieri, ma non tutti, dovevano infatti conoscere sapere il francese e l’italiano. In ogni paese esisteva un certo numero di grandi personaggi, ministri, ma anche dotti, scrittori o pittori. Nel corso del XVIII secolo, qualche membro dell’Ordine fece parte di questa elite: il sensale di Froulay, Sagramoso, quello di Saint-Simon, il Gran Maestro Rohan, il commendatore Dolomieu, e altri ancora. L’universalità di un’educazione comune a tutti i grandi signori, permetteva una certa intimità fra uomini che venivano da paesi differenti.

  • Capitolo XVIII

L’Espansione dell’Ordine sino all’Epoca Moderna

Si disegnava un nuovo orientamento: l’apertura russa. Caterina II era morta.D’accordo con il nuovo zar, Paul I, il 68° Gran Maestro, Emmanuel di Rohan si sforzava di costituire un grande priorato di Russia che inglobava i domini della Polonia (7 commende). Per negoziare, Rohan mandò in Russia il sensale Litta, di una grande famiglia milanese, che aveva già fatto un soggiorno in Russia durante il regno di Caterina II, nel 1789. Paolo I lo ricevette con entusiasmo e senza mostrare difficoltà regolò al meglio tutti i problemi riguardanti gli interessi dell’Ordine. Nello stesso tempo, Paul I introduceva un avvicinamento con la Santa Sede e chiedeva l’invio di un nunzio per risolvere importanti problemi. La domanda venne accolta con gioia a Roma, e fu inviato in Russia, nel gennaio del 1797, Mons. Lorenzo Litta, fratello del balivo. Uno dei primi risultati di questo avvicinamento è la creazione di un grande priorato cattolico di Russia. Poco dopo Rohan moriva e venne eletto il 69° Grande Maestro, Ferdinando Von Hompesch. L’Inghilterra, dopo la perdita di Minorca nel 1782, sognava di fare di Malta una seconda Gibilterra. Le interminabili guerre scaturite dalla Rivoluzione accrescevano l’importanza dell’isola: l’Ordine non aveva più di 5 galere, un vascello, tre fregate e qualche piccola unità. Si era lasciato andare tutto in rovina,a causa del denaro. Quando era potente, Malta era rispettata, ma nello stato in cui si trovava, era alla mercè del primo che la voleva occupare. Il conflitto delle nazionalità dei cavalieri fra i loro paesi e l’Ordine, scoppiò nel 1798, quando ci fu lo sbarco di Bonaparte a Malta. Non ci furono tradimenti né in un caso né in un altro. Solamente, in ciò che concerne la nazionalità nazionale e quella dell’Ordine, i Cavalieri si trovarono lacerati fra due attrazioni uguali. Si è voluto vedere nello sbarco di Bonaparte un colpo portato gratuitamente all’ideale aristocratico dell’Ordine. Questo è poco probabile. La presa dell’Ordine era una necessità strategica. Il 6 giugno 1798, due vascelli della squadra di Bruey arrivarono a Marsaxlokk e chiesero di fare l’acquata – il permesso fu accordato. Poi apparve la flotta intera, accerchiando l’isola. Si capì il pericolo e la popolazione perse la testa, essendo confusa e divisa sull’atteggiamento da adottare. Bonaparte fece chiedere il diritto per le sue navi di entrare nel porto per rifornirsi. Gli statuti non ammettevano che quattro navi alla volta, ma Bonaparte non poteva perdere tanto tempo perché ci sarebbero volute delle settimane.
Di fronte alle esigenze di Bonaparte, la resistenza si organizzò all’ultimo minuto e nel disordine più totale. Hompesch dichiarò che avrebbe ammesso l’entrata di quattro navi, come prevedevano i regolamenti marittimi, e che, se fosse entrata avrebbe fatto sparare sulla quinta. L’aristocrazia maltese temeva per i suoi beni, la popolazione non voleva battersi, il clero temeva il saccheggio delle chiese. Hompesch diede degli ordini incoerenti e la congregazione della Guerra dei contro ordini. Presi fra due lealtà, i francesi reagirono in diversi modi. Erano 260 a Malta, contro i 362 membri dell’Ordine. La popolazione, a causa di un eccesso di terrore, massacrò quattro cavalieri: Mantazel, Vallin, de Lorme e d’Andelare, l’amico di Dolomieu che si trovava su una delle navi insieme ai dotti che Bonaparte aveva portato con sé. Hompesch folle di paura non sapeva dove sbattere la testa, perse il suo sangue freddo e domandò una tregua; in seguito, due ore più tardi, capitolò. Sembra che temesse il massacro dell’Ordine dalla popolazione. Bonaparte aveva messo le mani sul tesoro e sui forti intatti, ma constatò che il tesoro era misero e i forti indifendibili. Saccheggiarono molto, ma sempre meno senza dubbio di quanto si racconta a Malta sotto l’influenza della propaganda anti-francese diffusa da subito dagli inglesi e dai preti maltesi che furono a capo della rivoluzione contro i francesi. Questi ultimi, nell’interesse del popolo maltese, diffusero nell’isola gli ideali della rivoluzione: “libertà, uguaglianza, fratellanza”. Questo fatto minò il potere che i preti maltesi esercitavano sul popolo dell’isola e vedevano per questo i francesi, come una minaccia per la loro dominazione. Al termine della capitolazione, l’Ordine cedette il dominio dell’isola alla Francia, e i Cavalieri dovevano ricevere delle indennità o delle pensioni. Il Grande Maestro poteva ritirarsi con la sua scorta e i cavalieri che non erano francesi. I francesi potevano rientrare in Francia: i loro salvacondotti furono firmati da Vaubois e anche da Desaix. Alcuni, per ragioni di età, di salute o di preferenza, restarono a La Valletta. Hompesch, accompagnato da una ventina di persone, tra cui cavalieri, servi d’armi, paggi e servitori, si imbarcò la notte successiva per Trieste. 53 Cavalieri fra i più giovani, si unirono all’armata egiziana e fecero la campagna sotto il Direttorio, il Consolato e l’Impero. Una leggenda narra che i tesori saccheggiati a Malta erano stati imbarcati sulla nave francese “l’Oriente” e che erano affondati con la barca durante la battaglia di d’Aboukir. Infatti, sarebbero stati scaricati più avanti. Bisogna infatti notare, che questi tesori, accatastati sopra l’attrezzatura militare,imbarcata a Toulon, dovevano essere stati scaricati per primi. Furono effettivamente venduti in Egitto, dove sono state ritrovate delle tracce. A Malta era la fine di un’epoca gloriosa, pittoresca e molto nobile. 360 anni di un governo eccezionale che, un po’ per azzardo si era mantenuto contro venti e maree attraverso un mondo in evoluzione. Con la partenza da Malta, un aspetto della vita dell’Ordine si estinse. Nel corso degli anni che seguirono la perdita dell’isola, si assistette a un tentativo di assoggettamento, a fini puramente politici, di ciò che restava dell’Ordine. Hompesch, per la sua incompetenza più che per la sua vigliaccheria, ne era stato l’affossatore.La maggior parte dei Cavalieri che lasciarono Malta, raggiunsero il loro Protettore a San Pietroburgo. Il 10 settembre 1798, lo zar promulgò un ukase ai termini del quale “prendeva sotto la sua alta protezione tutti i corpi dell’Ordine ben intenzionati”. Dichiarò San Pietroburgo “capo luogo delle assemblee dell’Ordine” e ingiunse a “tutti i Cavalieri presenti in questa città di prendere tutte le disposizioni necessarie per amministrare in maniera utile ed efficace questo nobile Istituto”.
Nel frattempo, Hompesch si rivolse direttamente a Paolo I, pregandolo di lasciarlo giustificare davanti a lui: sembrava dunque riconoscere allo zar un’autorità superiore alla sua.
Il 27 ottobre 1798, i membri del grande priorato di Russia e tutti gli altri numerosi Cavalieri delle altre lingue, che avevano trovato rifugio a San Pietroburgo, elessero lo zar Gran Maestro dell’Ordine in rimpiazzo del decaduto Hompesch. Il 13 novembre 1798, lo zar accettò il titolo che esaudiva i suoi più cari desideri. Il balivo, il Conte Litta divenne il suo tenente-Generale.
A Trieste, dove si era rifugiato, Hompesch, deluso da Bonaparte, scrisse due lettere di dimissioni: una all’imperatore Russo e l’altra all’imperatore d’Austria, suo alleato. Ed è in questa circostanza che abdicò rimettendo i suoi poteri nelle mani dello zar: ” A S.M. l’Imperatore Paolo I di Russia”.

  • Capitolo XVIII

Capitolo XVIII

L’Espansione dell’Ordine sino all’Epoca Moderna

Il 9 ottobre 1991, il Conte Thorbjorn Wiklund morì.

Il 10 settembre 1994, il governatore della Casa Reale del 73° Gran Maestro, il Conte Salvatore Ruta, scrisse al Gran Priore di Malta, il Conte Montaldo, informandolo ufficialmente delle dimissioni del Principe Roberto II Paternò Castello. Questo accadde in seguito a certe dissidi interni dell’Ordine O.S.J. Malta.

Il 17 settembre 1994, Sua Altezza Imperiale della casa imperiale di Costantinopoli e di Bisanzio, il Principe Henri Constantin III de Vigo Aleramico Lascaris Paleologue, accettò il ruolo di 74° Gran Maestro dell’Ordine pro tempore.

L’Ordine O.S.J. Malta, nell’anno 2000 – 2003 è, sotto la guida pro tempore del 75° Gran Maestro, S.A.R. il Principe Don Roberto II, che tendò di ristabilire alcuni equilibri all’interno dell’Ordine, ma, senza successo.

Nell’anno 2003-2006 lo sostituisce, S.E. il Conte Louis Scerri Montaldo, divenendo 76° Gran Maestro fino al 2006, poi dimesso per irregolarità commesse all’interno dell’Ordine.

Il 05 dicembre 2006 in Roma presso il Gran Priorato d’Italia Dell’Ordine O.S.J. Malta:

Un’assemblea di Cavalieri e Dignitari, si sono riuniti per eleggere il nuovo Gran Maestro: Il verbale per l’elezione del Neo Gran Maestro, è affidata al Gran Priore d’Italia, S.E. Ing. Dott. Giuseppe Grassi. ” L’assemblea dopo un’ampia disanima circa l’operato fin qui svolta dal Don Basilio Calì a favore dell’Ordine O.S.J. Malta, nella Sua veste di Gran Cancelliere e Luogotenente Gran Maestro, pone ai voti la proposta per l’elezione a 77° Principe Gran Maestro dell’Ordine O.S.J. Malta, di S.A. Don Basilio Calì.

L’Assemblea all’unanimità approva l’elezione del 77° Principe Gran Maestro nella persona di S.A. Don Basilio Calì di San Lorenzo, così come proposto.

Il Neo eletto 77° Principe Gran Maestro, dopo aver ringraziato i presenti per la fiducia accordata ringrazia e illustra i programmi futuri dell’Ordine.

Visto quanto precede dal 1° gennaio 2007, il 77° Principe Gran Maestro S.A. Don Basilio Calì di San Lorenzo, ha la rappresentanza legale e Araldica a pieno titolo del ” Sovrano Ordine di San Giovanni di Gerusalemme – Cavalieri di Malta – Sovereign Order of Saint John of Jerusalem – Kinghts of Malta”. Ore 20,00, non avendo altri argomenti da discutere il presidente dichiara sciolta l’Assemblea del 05 dicembre, Anno Domini 2006 Roma.

  • Fons Honorum
    Sovereign Order O.S.J. Malta

Sua Altezza Reale e Imperiale Gran Principe Hugo Norberto Cabrera Rurikovich Kuberev di Giuri: Capo di Nome e d’Armi della Dinastia, Gran Principe di Kiev, Gran Principe di Mosca, Principe del Sacro Romano Impero.

S.A.R.I. Il Principe Hugo Norberto Cabrera Rurikovich Kubarev, addì 17 del mese di Maggio – A. D. 2011, con decreto N° 0603/2011, accetta di assumere la carica di Protettore perpetuo del Sovrano Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, Cavalieri di Malta O.S.J. nei suoi domini: il su citato decreto, e stato approvato all’unanimità dal Supremo Gran Consiglio e firmato dal Principe Gran Maestro, S.A.S. Don Basilio Calì di San Lorenzo, Duca di Jedisàn e Granduca di Emmathà.
S.A.R.I. il Principe Hugo Norberto Cabrera Rurikovich Kubarev, con personale decreto N° 0103 concede, la Fons Honorum Cavalleresca, nella persona di S.A.S. Don Basilio Calì di San Lorenzo, duca di Jedisàn e Granduca di Emmathà.

Che Dio protegga il Principe Gran Maestro O.S.J. Malta!

S.A.S. Don Basilio Calì di San Lorenzo Duca di Jedisàn e Granduca di Emmathà
77° Principe Gran Maestro O.S.J. Malta
Ritiene:






“Che il Cammino da percorrere del Sovrano Ordine di San Giovanni O.S.J. Malta è quello di continuare a seguire, senza mai lasciare, le tracce del suo straordinario fondatore Fra Gerardo”. Dio salvi l’Ordine O.S.J. è tutti i Suoi Membri!..